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Emergenza coronavirus, serve un governo di "duri"

Con Conte è forte il rischio di dispersione dei finanziamenti "a pioggia" e di manovre speculative

Carlo Malinconico
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La drammatica epidemia e recenti iniziative governative, cui si aggiungono le criticità del rapporto Governo-Parlamento e Stato-regioni, ripropongono il tema della guida del Paese. Da ultimo, la nomina di una commissione tecnica per le modalità di ripresa delle attività sembra affidare la soluzione a “esperti”. La ripresa dopo il lockdown dovrà necessariamente essere condizionata dall'esigenza sanitaria, ma la deresponsabilizzazione della politica nella cruciale fase della ripresa sarebbe un nuovo 8 settembre. È responsabilità politica graduare la ripresa delle attività. E poiché nulla sarà come prima, da subito devono essere precisate le modalità di difesa individuale, quali l'istanza di sicurezza, densità di presenze, mascherine, guanti, le applicazioni di tracciamento e così via.  L'attuale Governo è nato per finalità ben diverse. È segnato dalla sua genesi e dal rapporto conflittuale con gli ex alleati, da una parte, e con le regioni del Nord, dall'altra. Si percepisce la debolezza dell'esecutivo in campo internazionale, soprattutto europeo. L'attuale Presidente del Consiglio non è stato eletto; molti parlamentari rifiutano il parlamentarismo in favore di un'utopistica democrazia diretta. Le scelte della fase 2 devono essere compiute da un Governo di alto profilo, formato dalle più competenti personalità, chiamate per la “salus rei publicae“, capace di mobilitare le migliori energie del Paese, garantire la ripartenza, sostenuto da una vasta rappresentanza parlamentare simbolo di coesione nazionale. Gli italiani ricorderanno. Le istituzioni, si sa, camminano sulle gambe degli uomini e personalità autorevoli sono in grado di coinvolgere nel progetto di rinascita del Paese le migliori energie e di parlare autorevolmente in Europa: when the going gets tough, the tough get going. L'attuale governo appare insufficiente a tale finalità. Una commissione di esperti, per quanto validi, non sembra in grado di determinare una corale e condivisa partecipazione all'immane compito. Non bastano le misure finora adottate volte al condivisibile obiettivo di aumentare la liquidità per sostenere la domanda interna. L'indebitamento pubblico è un male necessario per immettere liquidità. Ma per farne che? Il rischio è che le risorse siano destinate a disperdersi in misure a “pioggia” o, peggio, accaparrate per finalità speculative. Occorre avere un programma ben chiaro. Occorre puntare subito a investimenti pubblici per ammodernare il Paese, perché – in caso contrario – l'economia non tira,  “il cavallo non beve”, aumenteranno semplicemente i titolari di reddito di cittadinanza. Le infrastrutture sono lo snodo fondamentale. Ambiente; difesa del territorio da alluvioni, inondazioni, innalzamento del mare per il cambiamento climatico; bonifiche e ricostruzione delle località colpite dai terremoti; sanità e ricerca; banda larga; infrastrutture e servizi evoluti per il turismo; nuova configurazione del trasporto pubblico; smaltimento dei rifiuti, ponendo fine alle attuali modalità ipocrite volte ad arricchire altri Stati; interventi urgenti di manutenzione delle nostre città, sotto il profilo estetico-funzionale. Certo la “sburocratizzazione” del Paese è essenziale: ma non saranno gli esperti, pur autorevoli, a individuare “dall'alto” la semplificazione necessaria per la ripartenza. Occorre chiedere alle stesse imprese quali sono gli ostacoli che si frappongono a un Paese finalmente normale. Dobbiamo ricostituire le condizioni per lo sviluppo e la creatività degli italiani.

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