governo al lavoro
Coronavirus, Sileri: basta bollettino ogni giorno, meglio settimanale
«Arrivati a questo punto, che è una fase di transizione, probabilmente è opportuno comunicare i numeri in maniera diversa rispetto a come è stato fatto sinora». Il Viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, ieri mattina, ha proposto di rivedere la formula del bollettino quotidiano delle 18, che oramai ritiene superata rispetto al nuovo momento nella gestione del virus. Perché, senatore Sileri? «Il bollettino è giusto darlo con i numeri, ma vanno spiegati meglio. Ci sono molte componenti in gioco, tipo il numero di tamponi che vengono fatti, di cui occorre tenere conto. È chiaro che più tamponi vengono effettuati, più positivi si individuano. Così sembra che il contagio non abbia mai fine. Invece ci sono cifre che ti danno effettivamente contezza di quanto sta succedendo». Quali sono queste cifre? «Una cifra importante è quella dei posti in terapia intensiva occupati, che stanno calando in maniera significativa. Ad oggi, per fare un esempio, in Lombardia abbiamo poco più di mille posti occupati, situazione più che dimezzata rispetto a due settimane fa. Ogni posto di terapia intensiva che si libera indica che ci sono meno pazienti che arrivano in ospedale e meno gravi. Poi, se andiamo a leggere i dati regione per regione, vediamo che in alcune i contagi di oggi (ieri per chi legge n.d.r) sono prossimi allo zero. Altro aspetto da analizzare, poi, è il tipo di contagi. I nuovi sono pressoché familiari, e questo significa che le misure di distanziamento stanno funzionando». Cambiare formula di comunicazione, dunque. Come si potrebbe fare? «Far diventare il bollettino da quotidiano a settimanale, dando il quadro complessivo e il trend, che in questo momento è in discesa. La formula attualmente utilizzata andava bene nei primi due mesi, ma ora la situazione è cambiata». I decessi, però, continuano ad essere significativi. «Sì, ogni giorno ce ne sono tra i 500 e i 600, come se sparisse un piccolo paese di campagna. Però anche questo dato è da analizzare in profondità. Un deceduto dopo tre settimane di cure intensive si riferisce, sicuramente, ad una fase antecedente rispetto a chi muore dopo pochi giorni. Per questo serve una spiegazione accurata». Si guarda alla fase 2, qual è lo stato dell’arte? «Il comitato tecnico scientifico e le task force al lavoro stanno gettando le basi di questa fase che sarà di convivenza con il virus, e dovrà prevedere un modello comportamentale e di organizzazione del lavoro diverso rispetto a quello tenuto prima della pandemia. Mascherine, distanziamento all’interno dei luoghi, misure igieniche. L’andamento delle comunità sarà fondamentale, per questo serve l’aiuto e la vigilanza di tutti». L’”ora x”, almeno per il momento, è il 3 maggio. Si fa in tempo ad arrivare per quella data con una popolazione sensibilizzata ai nuovi comportamenti da tenere? «La popolazione ha risposto finora molto bene alle regole fissate e più o meno il 95% le rispetta. È chiaro che poi alcuni comportamenti, come indossare la mascherina, rispettare la fila alla cassa del supermercato, utilizzare igienizzanti, dovranno diventare di routine e lì serviranno abitudine e pazienza nell’applicarle. Per agevolare tutto questo servono alcuni presupposti. Dare i numeri chiari su quel che stiamo facendo, spiegare cosa fare in modo comprensibile a tutti, dai più giovani fino agli anziani. E poi potenziare gli aiuti, non solo a livello sanitario ma anche, chiaramente, a livello economico. Serve un grande messaggio: ne usciamo tutti insieme e con la responsabilità di ognuno». La fase 2 secondo lei deve prevedere regole uguali per tutte le regioni o è pensabile procedere a scaglioni? «Potrebbe essere diversa da regione a regione, ma soprattutto da attività ad attività. È chiaro che è più agevole ripartire in un’attività in cui è più facile il distanziamento e il controllo sullo stato di salute dei dipendenti». La Lombardia, però, si è già portata avanti, fissando una sorta di linea guida autonoma per la riapertura a maggio. «Non la definirei linea guida autonoma, ha fissato dei principi nell’auspicio di una riapertura immagino graduale ai primi di maggio. È la stessa cosa su cui stiamo lavorando anche noi». Capitolo vaccino. Secondo lei è realistico poterlo avere entro l’anno? «È una domanda a cui nessuno può rispondere. In molti stanno lavorando all’obiettivo. Ma iniziare una sperimentazione e arrivare a produrlo in larga quantità, dopo che ne siano state provate efficacia e sicurezza è un percorso che richiederà mesi».