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Emergenza coronavirus, caos Italia tra mille leggi diverse

Caos tra le scelte di Conte e le ordinanze regionali

Carlantonio Solimene
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Se uno dei punti cardine nel contrasto di un'emergenza è garantire una linea di comando chiara, la strategia italiana ha già dimostrato delle falle enormi che, al di là di come si concluderà la battaglia contro il Coronavirus, lasceranno sul campo le macerie di un conflitto mai così aspro tra enti locali e governo centrale. Se il buongiorno si vede dal mattino, con la richiesta di tener fuori dalle scuole i bambini di ritorno dalla Cina avanzata da Lombardia e Veneto e subito rigettata dal governo, gli indizi di un corto circuito istituzionale ci sono stati fin dall'inizio. Il braccio di ferro con il governatore delle Marche Luca Ceriscioli sulla chiusura delle scuole ha ulteriormente arricchito la casistica. Ma l'apice dello scontro si è consumato nell'ultima settimana, quando un Nord prostrato da un'epidemia feroce, dopo aver chiesto al governo di applicare provvedimenti di duri di quelli varati fino a quel momento, ha deciso di fare da solo. Salvo poi ritrovarsi a gestire un nuovo «Dpcm» (decreto della Presidenza del Consiglio) che contraddiceva e superava le varie ordinanze dei governatori. Fare il punto su ciò che oggi è lecito o no nelle varie Regioni italiane è complicatissimo, specie per il cittadino che deve orientarsi tra le varie prescrizioni. La Regione più «combattiva» finora è stata la Lombardia, non a caso quella in cui il Coronavirus ha fatto i maggiori danni. Il governatore Fontana, in «aggiunta» ai vari provvedimenti di Conte, ha previsto una multa per gli «assembramenti» pari a 5.000 euro, il divieto dei mercati scoperti, la chiusura dei distribuori H24, lo stop alle attività degli studi professionali, la chiusura degli alberghi con un massimo di 72 concesso agli ospiti residui per sloggiare, la misurazione della temperatura prima di entrare nei supermercati. Su alcuni punti questa ordinanza contraddice il Dpcm firmato solo poche ore dopo dal premier Giuseppe Conte, domenica sera: ad esempio sugli studi professionali che il governo ha lasciato aperti. Cosa succede in questo caso? «Ho già chiesto un parere all'ufficio legale e la prima risposta che ho avuto è che deve prevalere l'ordinanza regionale sul Dpcm - ha detto ieri il governatore Fontana -. In ogni caso, dal momento che ritengo che non si debba creare alcun conflitto, ho inviato una nota formale al ministro dell'Interno Luciana Lamorgese in cui chiedo che il ministero esprima il suo parere e dica formalmente se si applica l'ordinanza o il Dpcm. I cittadini devono avere certezze e non confusione». In attesa di chiarimenti, sono diversi i giuristi che, in realtà, sostengono come il Dpcm sia più «forte» rispetto all'ordinanza regionale, quindi in teoria gli studi professionali potrebbero rimanere aperti. In teoria, appunto. «Ai cittadini dico di attenersi alle nostre disposizioni» insiste Fontana. E si è punto e a capo. E nelle altre Regioni? I contrasti non sono di meno. In Calabria, per dirne una, c'è il divieto di fare scorte ai supermercati, e il compito di vigilare è affidato ai titolari delle attività. In Campania e Friuli c'è il divieto totale di fare sport, anche da soli (il governo, invece, lo permette nei pressi dell'abitazione). L'Emilia Romagna ha imposto la chiusura di tutte le attività (compresa la rivendita di alimentari ma escluse le farmacie) nei giorni festivi. Nel Lazio gli orari dei servizi commerciali sono stati ridotti (dalle 8 alle 19 nei giorni feriali, dalle 8.30 alle 15 nei festivi). In Liguria si è dato ordine di individuare i luoghi di possibili assembramenti e di interdirli al pubblico e si è vietato del tutto di raggiungere le seconde case (il governo, invece, lo impedisce solo nei festivi e nelle giornate immediatamente precedenti e successive come il venerdì e il lunedì). Un caos completo, come si può vedere. Nel quale una delle regole per orientarsi può essere quella di seguire il Dpcm in tutti i casi previsti e le ordinanze regionali quando intervengono negli spazi lasciati «vuoti» dal governo. O, ancora meglio, restare semplicemente a casa. Mentre, nelle alte sfere, sarebbe il caso di cominciare a studiare come rivedere la deleteria riforma del Titolo V della Costituzione.

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