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Siamo in mano a Totò e Peppino

Come tanti italiani ogni sera alle 18 ascolto la conferenza stampa del capo della protezione civile sempre affiancato dai vertici dell'Istituto superiore di Sanità. L'altra sera sia l'uno - Angelo Borrelli - che l'altro - Silvio Brusaferro - mi ha fatto saltare sulla sedia dallo stupore. Borrelli rispondendo a una domanda ha detto (letterale): “Il fatto che il coronavirus sia in qualche modo anche contagioso...”. Brusaferro invece ci ha spiegato che sì, anche un uomo giovane, di 39 anni, è morto in casa, ma “aveva fattori di co-morbosità, come diabete, come obesità e anche altre tipologie e disturbi che caratterizzavano la sua vita prima di contrarre l'infezione”. Me le avesse mandate qualcuno parole scritte così, non ci avrei creduto: un falso sicuro. Ma le ho sentite in diretta guardandoli mentre le dicevano, e la stessa cosa potete fare voi guardando il video che ho preparato per il sito del nostro quotidiano, www.iltempo.it. Per approfondire leggi anche: Anche a Roma mancano mascherine E sulle prime ho tremato, perché noi nel momento più drammatico della nostra storia siamo nelle loro mani. E sembra di essere nelle mani di Totò e Peppino: uno che ci racconta che non si muore di un virus micidiale, ma per la pancia abbondante, l'altro che dopo un mese in cui avrebbe dovuto alzare ogni barriera possibile contro il contagio ci racconta che sì, forse, in qualche caso questo virus potrebbe anche essere contagioso. Dopo avere sentito queste parole non ho dubbi sulla veridicità delle amare accuse rivolte ieri a Borrelli dall'assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Giulio Gallera, scandalizzato da quelle mascherine inviate dalla protezione civile per assegnarle a medici e infermieri in prima linea sul Covid-19. Non hanno il marchio di sicurezza Ce e sembrano davvero di carta igienica. Giustamente tutti gli operatori della sanità lombarda si rifiutano di indossarle, perché con quelle si prenderebbero certamente il virus. Siamo nelle mani di Totò e Peppino (ah, già...anche di quello che si crede la reincarnazione di Winston Churchill e più prosaicamente si chiama Giuseppe Conte). C'è poco da ridere però, perché il dramma è sulla pelle di tutti e non siamo affatto vicini a una svolta e nemmeno a un giro di boa, visto che l'epidemia è tragica nel Nord dove non ci sono più posti per curare i malati e nemmeno camere mortuarie dove portare chi non c'è più, ma a Roma e nel Sud l'infezione esploderà dalla prossima settimana. E io non credo che chi sta guidando l'emergenza oggi senza riuscire ad aiutare alcuna situazione di crisi sforni frasi grottesche come quelle sopra citate perché si crede un comico. Penso che semplicemente siano frastornati dalle direttive politiche che ricevono e a cui per costituzione e carattere personale non siano proprio in grado di resistere. Perché la sola direttrice di chi ha guidato e gestito la crisi sanitaria è stata la comunicazione. Dare un messaggio che non si ritorcesse contro chi lo pronunciava è stata dalla fine del mese di gennaio scorso una vera e propria ossessione. E così ai nostri Totò e Peppino una settimana ordinano di tranquillizzare, sopire, minimizzare. E loro tranquillizzano, sopiscono, minimizzano. La settimana successiva invece serve la drammatizzazione, altrimenti nessuno digerisce le scelte del tutto anticostituzionali del governo di togliere la libertà di movimento, la libertà di impresa e in fondo in fondo anche la libertà di espressione. Così i nostri sparano più forte le cifre, mettono in guardia severi dai pericoli, si espongono come fanno dal primo giorno quasi tutti i nostri esperti di virus ed epidemia. Ma qualche giorno dopo serve nuovamente il contrario, e non fare andare nel panico gli italiani. C'è da impazzire di fronte a pressing così, e non posso che compatire il duo. Assai meno però chi quelle direttive ha impartito, e oggi pretenderebbe pure da mezzo mondo le lodi perché “l'Italia è un esempio per tutti”. La maggior parte degli italiani in queste ore forse è d'esempio per il resto del mondo. La nostra classe dirigente, quella politica davanti a tutti, proprio no. L'Italia è d'esempio perché quasi tutto quello che è stato fatto nei vari momenti può essere raccolto in un manuale sul “cosa non fare di fronte a una epidemia”. Non a caso siamo il primo paese del mondo dopo la Cina per contagi e percentualmente il primissimo per decessi. Il guaio - per noi che abbiamo vissuto il film - è che tanti altri paesi europei stanno inanellando gli stessi identici errori, sottovalutando l'epidemia e non attrezzandosi con le armi necessarie a combatterla. Siamo stati travolti da diluvi di vuote parole e da decreti che solo in regimi dittatoriali possono essere emanati (infatti non vengono firmati da Sergio Mattarella, che deve garantire la Costituzione), ma nessuno un mese fa si è mosso come avrebbe dovuto fare un governo per tamponare la sproporzione del nostro sistema sanitario davanti all'offensiva del virus. Nessuno si è preoccupato ai primi di febbraio di ordinare o fare produrre da aziende italiane mascherine e gel disinfettante che oggi manca ovunque, perfino negli ospedali. A noi resta solo una possibilità: pregare.

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