Coronavirus e ospedali. Paghiamo l'errore di non aver investito sulla nostra sanità
A causa del ricovero prescritto al Paese, con limitazioni alla libertà di circolazione e agli eventi affollati, stiamo assistendo al freezing economico con gli operatori del settore turistico e commerciale vessati da una congiuntura virale che, giorno dopo giorno, accresce l'ansietà e intensifica il pessimismo con ricadute penalizzanti nel deperimento della ricchezza nazionale. Ci ripetono, anche con illustrazioni grafiche, che dobbiamo con frequenza lavarci le mani come fossimo foche da ammaestrare e i programmi televisivi, così come le rassegne stampa, sono monografici occupandosi esclusivamente di coronavirus. La cordialità aveva una manifestazione tattile con la stretta di mano, mentre oggi ci viene suggerito di mimare il saluto con annesse istruzioni di prammatica. In tale scenario è ovvio che le relazioni si dissolvono in una desolazione sociale che interrompe lo scambio commerciale con le conseguenze prevedibili per l'economia. La curva epidemica continua a salire confermando la necessità di contenerne l'espansione al fine di eludere il collasso del sistema sanitario. Analizziamo senza patemi il quadro italiano nella consapevolezza che parte dei decessi, 148 finora registrati, sono imputabili a patologie preesistenti al virus Covid-19. Dunque, la letalità non è monopolio del coronavirus che coabita con altre disfunzioni e agisce in un quadro clinico già compromesso. Di per sé l'infezione è sanabile pur in assenza di un vaccino specifico, ma il paradosso è che la mortalità può accentuarsi nella propagazione del contagio a causa della carenza ricettiva ospedaliera. In sostanza si può morire per deficit di offerta sanitaria perché negli anni la miopia politica ha privilegiato percorsi di finanziamento destinati ad infruttuosi obiettivi come i miliardi di euro cestinati nell'utopica visione immigrazionista. Anziché aumentare i posti letto negli ospedali, abbiamo incrementato con cospicue risorse i giacigli per accogliere i migranti che sono stati inseriti in un circuito di lucro lubrificato dal richiamo alla presunta solidarietà. Il rigore contabile ha agito da deterrente agli investimenti sanitari ed oggi dobbiamo temere il contagio per le conseguenze di sovraccarico che possono disarticolare la struttura della nostra sanità. Finora i medici, gli infermieri e tutti gli operatori del settore hanno dimostrato un'eroica vocazione professionale con turni massacranti pur di assicurare un servizio di assistenza uniforme, ma non hanno il potere di potenziare i nosocomi con posti letto dedicati alla terapia intensiva per i casi gravi di sindrome respiratoria. Pertanto, il virus può accelerare il decorso letale di un quadro clinico già pregiudicato del contagiato, ma non possiamo attribuirgli la responsabilità di eventuali decessi che andrebbero ricondotti all'impraticabilità terapeutica per insufficienza di strutture attrezzate. La situazione di emergenza con la quale il Paese si sta confrontando è derivata dalla reazione intempestiva di una mediocre classe dirigente che per riscattarsi deve programmare un piano straordinario di sostegno economico-fiscale alle imprese e di investimenti infrastrutturali per rianimare l'offerta sanitaria nella prospettiva che i rischi virali nel mondo interconnesso rappresentano una minaccia permanente.