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Pur di prendersi i voti dalle macerie a 5 Stelle il Pd rinnega se stesso

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Alessandro Giuli
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Il paradosso del Partito democratico è che sulla prescrizione, così come sul dossier giustizia più in generale, i suoi dirigenti la pensano esattamente come il centrodestra stanziato all'opposizione e come l'odiato, rompente e dirompente Matteo Renzi. Al netto di un garantismo a corrente alternata, non è certo un mistero che l'ex Guardasigilli Andrea Orlando meditava di muovere battaglia contro la legge Bonafede già all'indomani delle regionali in Emilia-Romagna che hanno confermato la tenuta elettorale del Pd. L'obiettivo, in poche parole, era sospendere la blocca-prescrizione e ridurre a più miti consigli il clan pentastellato asfaltato nelle urne. Orlando, e con lui naturalmente il segretario Nicola Zingaretti, è consapevole dei limiti giuridici e politici del provvedimento entrato in vigore a gennaio; e tuttavia aveva in mente di gestire l'operazione in modo ruvido ma strategico: far perno sul premier Giuseppe Conte per ottenere dai grillini un patto strutturato in vista delle prossime consultazioni e costringere con garbo il ministro della Giustizia a ripiegare. Niente da fare: quel teppista di Renzi ha annusato l'aria e si è intestato una manovra di deterrenza altrimenti appannaggio dei democratici. Risultato: il Pd si ritrova costretto a difendere un cattivo compromesso – il lodo Conte – pur di non gettare all'aria la maggioranza giallorossa. È verosimile che una mediazione in extremis verrà estratta dal cilindro dei tatticismi partitici, ma resta impregiudicato il nodo di fondo: il Pd è un partito a vocazione garantista, sviluppista e devoto a quel principio di realtà che consiglia prudenza sulle concessioni autostradali, coraggio sul capitolo Alitalia, attivismo industrialista per la crisi dell'Ilva e così via. Ed è esattamente su questa lunghezza d'onda che sono attestati sia le opposizioni esterne sia quella interna di Italia Viva. Sicché tanto varrebbe far prevalere la larga e responsabile corrispondenza di non amorosi ma illuminati sensi. Se questo non accade, se cioè non si prefigura una separazione radicale tra Nazareno e Rousseau, è perché la dirigenza dem si è convinta di poter spostare l'asticella ancora più avanti, restando ammanettata al MoVimento Cinque stelle con l'obiettivo di completare la cannibalizzazione dei suoi consensi secondo il modello già praticato da Matteo Salvini nella breve stagione gialloverde. Il che, con ogni evidenza, può rappresentare un bene per Zingaretti e i suoi ma non per l'Italia: la nazione ha bisogno di un governo che la governi in un regime di eccezionale emergenza economica, sociale e sanitaria (in quest'ultimo caso va da subito riconosciuto al ministro competente, Roberto Speranza, il suo ottimo lavoro). In un sistema ordinato e in buona salute, avremmo già assistito alla riconfigurazione della maggioranza parlamentare in virtù di affinità programmatiche e sensibilità culturali riformiste. Ed è esattamente ciò che si dovrebbe auspicare, a cominciare dal voto sulla prescrizione che potrebbe avvenire secondo coscienza e non secondo piccole convenienze di corta gittata. Se poi le conseguenze fossero irreversibili ed esiziali al Conte bis, nella prospettiva di un governissimo o di uno scioglimento delle Camere, sarebbe opportuno affidarsi alla “saggezza” del Quirinale; per usare una formula logorata dal tempo ma sempre attuale in circostanze come questa.

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