il pd tiene l'emilia romagna
Salvini si schianta sul muro rosso
L'uomo solo al comando rischia di diventare sempre un limite nelle varie stagioni politiche. Lo è stato alla fine anche per Silvio Berlusconi, è diventato il freno della stagione di Matteo Renzi, potrebbe essere il problema di Matteo Salvini. Mentre scriviamo non è ancora certo il risultato delle regionali dell'Emilia Romagna, ma dagli exit poll e dalle prime proiezioni si profila un vantaggio consistente - al di là di ogni aspettativa - del governatore uscente Stefano Bonaccini, che sembra avere avuto notevoli vantaggi dal voto disgiunto, scelto sia da una parte consistente degli elettori del M5s che addirittura da una parte sia pure meno significativa di quelli del centrodestra. Il che significa sia che la cavalcata straordinaria di Salvini di questi ultimi due anni si è infranta contro l'ultimo muro di Berlino ancora esistente in Italia, sia che avere accentrato su di sé l'assalto alla Emilia Romagna lasciando sullo sfondo un candidato non fortissimo come Lucia Borgonzoni. Questo ha naturalmente polarizzato la contesa verso Salvini e siccome il territorio era vitale da proteggere, si è scatenato il finimondo chiamando a raccolta chiunque contro il pericolo dei pericoli. Le sardine più che averne avuto sono state l'effetto eclatante di questa chiamata alle armi. La fusione dell'elettorato grillino con quello piddino è stata la vera conseguenza di questo tutti contro uno, e la dice lunga anche su quel che potrebbe accadere a livello nazionale se la situazione dovesse ripresentarsi uguale, al di là delle decisioni che possano prendere le leadership dei due partiti. Per approfondire leggi anche: La Lega fallisce la spallata a Conte L'uomo solo è stato il segreto del successo di questi anni, che per altro si è stabilizzato secondo i sondaggi nazionali, tenendo la Lega più o meno ai livelli che aveva a inizio 2019 e portando un travaso di voti all'interno del centrodestra fra Forza Italia e Fratelli di Italia. Ma rafforzare la classe dirigente, provare a costruire un gruppo di comando che non abbia l'esclusivo compito di ripetere a pappagallo (ma con minore efficacia) le parole del leader è il salto di qualità che deve fare Salvini all'indomani della sua prima vera sconfitta elettorale. Senza drammi particolari, anche se il risultato di Bonaccini insperato e perfino inatteso secondo tutti i sondaggi che abbiamo visto in segreto fino a sabato, verrà celebrato ben oltre le sue proporzioni a sinistra, e le sardine inevitabilmente cresceranno e si moltiplicheranno. Però quello scarto fra voti di lista ottenuti e quelli del candidato governatore dicono come il tema di una classe dirigente preparata e anche un po' indipendente dalla leadership sia rilevante per tutto il centrodestra. L'ultimo muro di Berlino in piedi certo farà riprendere fiato al governo di Giuseppe Conte che sembrava scricchiolare paurosamente anche per la crisi politica dei grillini. E' chiaro che l'uscita di scena di Luigi Di Maio e questo voto emiliano romagnolo faciliteranno il consolidamento dell'alleanza fra Partito democratico e Movimento 5 stelle, dando ragione a chi spingeva per una unione più strutturale fra i due partiti come sembrano volere gli elettorati o quel che resta di loro. Ero fra i primi ad essere convinto prima del voto alle politiche del 2018 che i due partiti più simili anche nelle esigenze che allora manifestava l'elettorato erano proprio quelli che avrebbero dato origine al governo gialloverde. Entrambi avevano alle spalle una esigenza di aria nuova e di ribellione al sistema politico nazionale e internazionale che aveva dominato negli anni precedenti. Resto convinto che così fosse, ma nel giro di un anno Salvini si è divorato l'elettorato più simpatetico dei grillini, svuotando il senso stesso di quella alleanza. Ne ha avuto frutti numerici sia nelle amministrative che in Europa ma nel frattempo il M5s ha cambiato radicalmente pelle, perché a loro sono restati attaccati in stragrande maggioranza gli elettori più di sinistra e il solo che invece faceva difficoltà a staccarsi dai tempi del 32% era Di Maio. Oggi quello schema politico è disintegrato e non ha più alcuna possibilità di essere percorso, per cui diventa ancora più importante per l'uomo che guida il centrodestra consolidare i risultati straordinari ottenuti in questo biennio puntando sulle persone, e tenendo in conto in quest'ottica anche l'alleanza con le altre due forze della coalizione, perché se in quel posto la Lega ha bisogno di tempo per fare crescere il proprio personale politico magari invece c'è un candidato più adatto di Fratelli di Italia o di Forza Italia come dimostra il lusinghiero risultato della Calabria messa in secondo piano solo dallo scontro politico nazionale sull'Emilia Romagna.