Conte, Salvini e Zingaretti: tre leader appesi all'Emilia Romagna
Se il Pd perde l'Emilia Romagna il premier Conte rischia di veder esplodere la maggioranza di governo
Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti, Matteo Salvini. Chi ha più da perdere dal voto di oggi? Ad essere chiamati alle urne sono 5,5 milioni di elettori tra Emilia Romagna e Calabria. È una consultazione locale, ma il verdetto ha più che mai una valenza nazionale. Conte si gioca la permanenza al governo, anche se ha già assicurato che, comunque vada, la sua avventura al comando dell'alleanza rossogialla è destinata a durare. Nel caso in cui il centrodestra vinca in Emilia Romagna, Zingaretti sa già che il suo progetto di "rinascita" del Pd subirà una pesante battuta d'arresto e la sua stessa leadership nel partito sarà messa in discussione. Salvini, invece, si gioca la spallata decisiva all'esecutivo. Se la Borgonzoni non dovesse farcela a scalzare Bonaccini, sarà molto difficile recapitare quell'«avviso di sfratto» promesso a Conte. È chiaro che tutti e tre guardano soprattutto a cosa faranno gli elettori emiliano-romagnoli. In Calabria, infatti, l'esito sembra scontato. Il Pd, dopo i cinque anni di governo di Mario Oliverio, ha puntato su Pippo Callipo, imprenditore vibonese nel settore del tonno. I Dem hanno cercato di far passare il più possibile l'idea che non è uno dei loro. In effetti, non lo è. Si è presentato con la lista "Resto in Calabria", a cui il partito di Zingaretti ha dato il suo appoggio. In base agli ultimi sondaggi pubblicati prima dello stop dell'11 gennaio, il centrosinistra era dato in difficoltà, con la candidata Jole Santelli in netto vantaggio. In questa regione, salvo sorprese, il Pd cercherà di perdere con il minor svantaggio possibile. Ecco perché il segretario Dem ha bisogno di non cedere anche la roccaforte rossa per antonomasia: l'Emilia Romagna. Non può ripetere una disfatta come quella dell'Umbria. Una sconfitta che mediaticamente verrebbe moltiplicata per dieci. Zingaretti ha anche un'altra preoccupazione: non perdere definitivamente l'alleanza con il M5s. Il giorno prima del silenzio elettorale ha cercato di non far passare la tesi per cui questo voto non è un referendum sulla maggioranza: «Nessuno deve sognarsi una crisi di governo per due Regioni. Il governo vive sulla capacità di fare le cose e i risultati si vedono». Risultati che, casualmente, sono stati pubblicizzati proprio due giorni fa, con il decreto legge sul taglio del cuneo fiscale. Una misura che - parole del ministro Gualtieri - «renderà più pesanti le buste paga dei lavori dipendenti». Peccato che la riduzione della tassazione scatterà solo da luglio. Anche Conte ha la necessità di slegare il voto dalle sorti dell'esecutivo. Se l'Emilia Romagna dovesse andare alla Borgonzoni, il giorno dopo i problemi inizieranno a deflagrare. La maggioranza tornerà a ballare innanzitutto sulla riforma della prescrizione, con Renzi pronto a sostenere la proposta di Forza Italia che dovrebbe arrivare martedì in Aula alla Camera. Sempre quel giorno, il ministro Bonafede (travolto dalla polemica sugli «innocenti che non finiscono in carcere») si recherà in Senato per la relazione sull'amministrazione della giustizia. Poi c'è il capitolo Autostrade. Un Pd sconfitto in Emilia riuscirebbe a frenare i propositi bellicosi del M5s sul tema delle concessioni? Insomma, la crisi potrebbe aprirsi da un momento all'altro. Per questo Salvini ha battuto in lungo e largo il territorio, incentrando il più possibile su di sé la campagna della Borgonzoni. Se non dovesse farcela, dovrebbe attendere la prossima tornata delle Regionali. Quella di maggio. Quando andranno al voto, tra le altre, Toscana e Puglia. Sfide che, come quelle di oggi, si preannunciano decisive.