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A Sanremo più liti che al governo. Così la politica ha rovinato il Festival

Carlantonio Solimene
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«Sono solo canzonette» cantava Edoardo Bennato. Magari, verrebbe da rispondergli. Perché anche in questo 2020, come e più degli anni passati, il Festival di Sanremo si è trasformato nello specchio fedele di un Paese diviso, incattivito, pronto ad analizzare ai raggi x ogni singola frase dei protagonisti, ogni verso delle canzoni, per trovarci tracce di prese di posizione politiche, di discriminazione. Per trasformare tutto, sostanzialmente, in una polemica buona per i social network. A rivederla oggi, la presa di posizione di Claudio Baglioni contro le politiche migratorie di Salvini, nella conferenza stampa di presentazione della rassegna dell'anno scorso, sembra appena un'increspatura rispetto a quello a cui assistiamo in queste settimane. Nel giro di pochi giorni si è registrata l'insurrezione della sinistra per la presunta censura salviniana alla partecipazione di Rula Jebreal. Poi, la stessa sinistra che ha denunciato la censura, ha sindacato sulla presenza, tra i cantanti in gara, della «sovranista» Rita Pavone... SE VUOI CONTINUARE A LEGEGRE CLICCA QUI

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