pentastellati nel mirino
M5s, ecco i 59 piccoli Casaleggio
Il post che testimoniava tutta la sua rabbia è stato pubblicato da Davide Casaleggio nella sua pagina Facebook la sera del 30 dicembre scorso. Una reazione piccata e puntuta a molte notizie e indiscrezioni circolate sui media nelle ultime settimane sui possibili conflitti di interesse della Casaleggio Associati, la pmi ereditata dal padre Gianroberto. Per approfondire leggi anche: CASALEGGIO CONSULENTE, ECCO IL CONFLITTO D'INTERESSI Ne è nato una sorta di decalogo con l’hastag “#Falso” che in gran parte era dedicato a giornali e giornalisti per spiegare che la società non avrebbe avuto alcun vantaggio dalla nascita del Movimento 5 stelle, tanto è che nel 2018 ha chiuso con un fatturato inferiore a quello del 2007. Poi un chiarimento sui rapporti con Moby, con cui la società lavorerebbe dal 2011 quando i grillini erano all’opposizione. E ancora, minacce di querele e l'avvertimento che già alcune sono andate in porto dando ragione alla sua società. Ma un punto di quel decalogo - il numero 6 - è stato inatteso fuoco amico, rivolto ai tanti mugugni trapelati dalle fila degli stessi parlamentari grillini sul peso della Casaleggio Associati e sui versamenti all’associazione Rousseau. Qui Davide ha perso evidentemente la pazienza, e ha lanciato pesanti accuse ai gruppi parlamentari sul conflitto di interesse. Ecco le sue parole di fuoco: «Sarebbe interessante sapere se i parlamentari che oggi si riempiono la bocca con attacchi nei miei confronti abbiano societá di proprietà o quote in diverse di esse per le quali abbiano presentato direttamente in qualità di parlamentari, qui sì con potere di firma, delle leggi o emendamenti che abbiano avuto impatto sulle loro aziende. Mi risulta che 120 parlamentari abbiano una quota di un’azienda. Immagino che qualche giornalista le andrá a verificare prima o poi». Abbiamo raccolto la sfida e siamo andati a verificare una a una le dichiarazioni dei redditi dei parlamentari del M5s con annesse le proprie partecipazioni patrimoniali del 2018 e gli eventuali aggiornamenti del 2019 (ma solo la metà ha presentato finora questo documento). La prima verifica dice che Casaleggio esagera, a meno che deputati e senatori del M5s abbiano dichiarato il falso. Perché risultano avere partecipazioni mobiliari in tutto 59 parlamentari: 37 deputati e 22 senatori. Circa la metà dunque di quelli ipotizzati da Casaleggio, ma non sappiamo a quale fonte abbia attinto per indicarne 120. Secondo le dichiarazioni ufficiali del 2018 in realtà i parlamentari con partecipazioni erano 60, ma nel 2019 è uscito dalla lista Stefano Buffagni, che ha dichiarato di avere venduto la sua partecipazione del 35% nella Stp srl (una società professionale fra commercialisti). Resta anche un dubbio sulla dichiarazione partecipazioni di Jessica Costanzo, che è macchiata nel quadro delle società. Nei 59 che abbiamo verificato c’è a dire il vero un po’ di tutto: altri parlamentari che avevano quote di società professionali come quella di Buffagni e che non le hanno vendute. Chi ha quote di società commerciali di famiglia che continua a tenersi, e chi prima di essere eletto faceva davvero in genere il piccolo imprenditore e non ha alcuna intenzione di chiudere o dismettere la società perché la politica prima o poi finisce e bisogna pure avere un mestiere per continuare a vivere in altro modo. Qualcun altro invece usa i propri risparmi investendo a piazza Affari e comprando titoli di società quotate. Grillini o meno quando si fiuta un affare, lo si prende al volo avendone le possibilità. Così il deputato genovese Marco Rizzone non ha disdegnato di investire in Mediaset anche se è la società chiave dell’odiato Silvio Berlusconi. Scelta non dissimile ha fatto la senatrice Alessandra Riccardi, che oggi ha in portafoglio 500 azioni Mediolanum. Rizzone però è uno che in Borsa ci sa fare, e ha acquistato quasi tutti i titoli delle griffe italiane: da Enel a Poste, da Leonardo alla Ferrari e Fiat Chrysler. Ha perfino in portafoglio 500 azioni Autogrill, che appartiene al gruppo degli odiati Benetton. Ma ha investito anche in Facebook e in numerosi fondi comuni specializzati anche nei mercati asiatici. In borsa nel suo piccolo investe anche Carlo Sibilia, anche poche azioni, soprattutto nel settore bancario. Titoli di peso: Credem, Enel, Eni, Ubi banca, Banca Carige, Banca popolare di Milano, Bnp-Paribas, Mediobanca, Intesa San Paolo, Popolare di Sondrio, Ubs group, Deutsche Bank. Qualcosina in portafoglio ha anche la deputata Nadia Aprile: 588 Enel, 69 Leonardo e 47 Unicredit. Maria Edera Spadoni ha invece comprato all’estero 135 Easyjet plc. Stefano Patuanelli ha 100 azioni della Banca popolare di Cividale del Friuli e 20 azioni della multiutility Hera. Poi ci sono quelli che hanno quote o proprietà di piccole imprese di settore. La messinese Angela Raffa ha il 100% di capitale della Stone costruzioni srls di Messina, Gianluca Rizzo è socio accomandante della Trade promotioin sas e della Arte Mediterranea sas di Caltagirone. Il frusinate Luca Frusone ha invece l’intero capitale della Azienda Caperna. Il foggiano Marco Pellegrini detiene il capitale intero della Michela Immobiliare e dal 2019 è anche amministratore della Gargano Bay&resort srl. Sabrina Ricciardi, beneventana, ha il 50% della locale Mais srl. Paola Taverna detiene il 10% del capitale della Queen srl, che però è stata messa in liquidazione. Il leccese Leonardo Donno ha l’intero capitale della Clima sud service, l’umbro Filippo Gallinella il 5% della Gm Meccanica srl, il romano Emanuele Dessì il 51% della Nalia srl.