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Nave Gregoretti, Luigi Di Maio vuole Matteo Salvini in cella

Sulla nave Gregoretti M5S contro l'immunità. Di Maio vuole mandare Salvini dietro le sbarre: oggi il caso in Giunta

Pietro De Leo
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Luigi Di Maio ora vuole mandare in galera Matteo Salvini. Il leader leghista è infatti indagato per sequestro di persona per la vicenda della nave Gregoretti, bloccata a luglio con 131 migranti a bordo, dalla Guardia Costiera italiana fuori dal porto di Augusta. «Il blocco della Gregoretti - ha spiegato ieri il leader dei Cinque Stelle nella trasmissione "Porta a Porta" - non fu deciso dal governo, ma dal Ministro Salvini. (Sulla Diciotti, ndr) per noi c'era l'interesse pubblico prevalente, ma sulla Gregoretti non c'era e non c'è. Soprattutto fu un'azione del singolo ministro, tanto che poi li fece sbarcare perché la ridistribuzione funzionava. Noi voteremo contro l'interesse pubblico prevalente». Il Tribunale dei ministri di Catania ha infatti respinto la richiesta della Procura per Matteo Salvini. La Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato dovrà di nuovo pronunciarsi se concedere o meno l'autorizzazione a processare Salvini per sequestro di persona. Il 19 febbraio la negò per il caso della nave Diciotti, ma era un'altra vita, quella del primo governo Conte, che inviò una memoria a sostegno dell'ex ministro dell'Interno leghista, così come Luigi Di Maio e Danilo Toninelli, e disse di assumersi «piena responsabilità politica di ciò che è stato fatto». Ora i due sono nemici giurati e l'esito del voto della Giunta ed eventualmente dell'aula è più che mai incerto. Il leader leghista lo sa e punta a stanare gli ex alleati: «Voglio vedere se i Cinque Stelle voteranno come nel caso Diciotti, visto che è esattamente la stessa fattispecie». Allora il Movimento si divise, lanciò poi una consultazione su Rousseau, dove il 59% votò per salvare l'alleato leghista. «Rischio fino a 15 anni di carcere. Ritengo che sia una vergogna che un ministro venga processato per aver fatto l'interesse del suo Paese - l'affondo di Salvini - sono indagato perché ho difeso la sicurezza, i confini e la dignità del mio Paese, incredibile». L'ex ministro dell'Interno non ha risparmiato anche un attacco alle toghe. Contro il presidente del Tribunale dei ministri di Nicola La Mantia, «iscritto a Magistratura democratica», e per «l'enorme spreco di denaro pubblico e di tempo da parte di magistrati che cercano un reato laddove a mio avviso non c'è: era una scelta politica». E Salvini rischia un analogo epilogo anche per il caso della nave dell'Ong spagnola Open arms, fatta sbarcare ad agosto grazie all'intervento della Procura dopo 19 giorni in mare e un duro pugno di ferro nel governo. Intanto ieri nell'aula del Senato è intervenuto Antònio Guterres, Segretario Generale dell'Onu. Un discorso accorato, pluriapplaudito, che è andato a parare prevedibilmente dove si attende dal vertice di un'organizzazione internazionale. Temi incontestabili, ovviamente, come la parità tra donne e uomini. E il tema ambientale e la transizione energetica, altro mantra collettivo nei periodi di «Greta-mania». Poi c'è stato un passaggio particolarmente applaudito, ed è stato quello relativo all'immigrazione. «Italia e Grecia - ha osservato il numero uno dell'ONU - hanno il dovere e il diritto di ottenere sostegno e solidarietà dai paesi partner, purtroppo fino ad oggi non li abbiamo visti». Bene. Condivisibile. Se non fosse che l'Assemblea Generale, lo scorso anno, ha approvato il famoso Global Compact, che di fatto rappresenta un vero e proprio lasciapassare politico (per quanto il documento non sia vincolante) alle migrazioni di massa, di cui l'Italia, come sponda mediterranea, è fisiologica destinazione. In particolare, quel documento (che fu avversato dall'allora governo su iniziativa della Lega) conteneva un sostanziale incoraggiamento all'attività delle ONG. Una sanatoria totale sull'esodo, insomma. A danno dell'Italia e non solo. Dunque, ad ascoltare le parole pronunciate ieri da Guterres c'è una sintesi calzante: con una mano la carezza e con l'altra la fregatura. Niente di nuovo, insomma.

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