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Renzi, Salvini e Santori: gli alleati involontari che fanno tremare Conte

Matteo Renzi, Matteo Salvini e Mattia Santori sono i tre alleati involontari che fanno tremare Conte

Alessandro Giuli
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Tre concretissimi fantasmi si aggirano sulla scena politica italiana e si candidano a terremotare in via definitiva quel che resta di una maggioranza sorretta dalle stampelle dell'ipocrisia e della paura della riconquista sovranista. Si chiamano allo stesso modo, Matteo, anche se uno di loro è in realtà battezzato Mattia, di cognome fa Santori ed è il leader di un formidabile progetto di laboratorio: le Sardine partite all'assalto del MoVimento Cinque stelle con la scusa di rioccupare le piazze pubbliche strappandole all'egemonia leghista. E siamo agli altri Mattei: Salvini e Renzi, gemelli più o meno involontariamente solidali nella sfida al governo Conte 2.0 e soprattutto al maggiore azionista di riferimento, il Partito democratico di Nicola Zingaretti. In apparenza, i tre soggetti di cui stiamo parlando si muovono in modo indipendente e in competizione fra loro. Salvini alterna un'opposizione granitica a una serie di profferte di dialogo istituzionale finalizzate a far uscire allo scoperto l'ala più insofferente della maggioranza. E Renzi gli risponde a modo suo, negoziando su una legge elettorale a lui vantaggiosa (proporzionale puro o spagnoleggiante, purché la soglia di sbarramento sia bassa come quella del Rosatellum al netto del taglio dei parlamentari non ancora in vigore), e sparando a pallettoni su ogni dossier sensibile sul tavolo del premier: dalla legge di bilancio al salvataggio della Popolare di Bari, passando per la giustizia e il finanziamento indiretto ai partiti (ma su questo punto gioca in difesa). Il risultato è una manovra a tenaglia che si combina con la sopraggiunta debolezza di Luigi Di Maio, alle prese con un delicato e desolato processo di assestamento della propria leadership all'interno dei Cinque stelle. A soffrirne è soprattutto il Pd, già di suo riluttante al ribaltone estivo di Palazzo, e oggi costretto a donare sangue politico senza alcuna certezza di poter allestire un'alleanza strategica con i grillini senza la quale il partito di Zingaretti è condannato a un ruolo di minoranza perpetua. E qui interviene la variabile ittica. Le Sardine si pongono di fronte all'opinione pubblica come un deterrente allo strapotere salviniano (in parte è senz'altro vero), ma nella sostanza stanno mobilitando e magnetizzando energie altrimenti destinate altrove: il terreno di caccia dei pesciolini bolognesi è quella società civile la cui viscerale insoddisfazione ha ingrassato i consensi grillini, ma pure quella borghesia metropolitana insofferente verso i vecchi schieramenti e alla quale avrebbe dovuto rivolgersi Italia Viva. Sicché, a lungo andare, piuttosto che impensierire la Lega le Sardine finirebbero per vampirizzare gli attori sulla scena di sinistra. Ce n'è quanto basta per mettere tutti i protagonisti al cospetto della necessaria ordalia: il verdetto delle urne. Senonché nessuno – a parte l'opposizione nazionalsovranista – vuole lasciare le proprie impronte sul cadavere del Conte bis. Di qui lo stallo persistente, ma che non pare destinato a protrarsi troppo a lungo. La causa efficiente di una detonazione esiziale è ormai nella natura delle cose e nella personalità dei leader politici in azione, si tratta soltanto di capire se l'esplosione avverrà prima o dopo le elezioni del 26 gennaio in Emilia-Romagna. L'ultimo a comprendere l'accelerazione infausta è come sempre Di Maio: prigioniero dei propri incubi e della dissidenza interna da domare, il capo politico si accorgerà di essere finito in un vicolo cieco quando i suoi nemici lo avranno espropriato del potere residuo.

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