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La verità sul Mes? Franceschini vuole metterci nei guai per un favore alla Ue

Il capo dei dem al governo Franceschini intima al M5s di approvare il fondo Salva-stati. La Ue ci impone 14 miliardi ora e fino a125 nei prossimi anni ma gli italiani sono esclusi dai fondi

Franco Bechis
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In questi anni ripetendosi «altrimenti i mercati», oppure «eh, se no lo spread sale», l'Italia e i suoi governi si sono rovinati con una incredibile vocazione al suicidio, arrivata al suo culmine con l'approvazione del fiscal compact e l'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio. Conta relativamente chi abbia sbagliato e perché. Tanto più che questa sindrome di Stoccolma ha colpito praticamente tutti i premier e i partiti politici. Perché una cosa è ormai chiara: i guai dell'Italia di questi venti anni hanno sempre avuto all'origine la scelta di aderire acriticamente a trattati europei senza discuterne i meccanismi, che hanno finito per essere punitivi per il paese. Dalle modalità dell'ingresso nell'euro in poi l'Italia ha sempre fatto la scelta sbagliata nel modo sbagliato. Per questo motivo dall'anno 2000 in poi l'Italia - con qualunque governo e con qualsiasi ciclo economico - è sempre stata fanalino di coda nell'area dell'euro e in Europa. L'errore sta per essere ripetuto ancora una volta dall'attuale governo di Giuseppe Conte, che si avvia alla firma della bozza Mes su spinta del Pd. Per approfondire leggi anche: TRADIMENTO GRILLINO SUL MES Eppure nel giugno scorso alla vigilia del vertice sull'euro del 21 giugno il Parlamento aveva chiesto al premier di impugnare quella bozza di riforma, perché troppo penalizzante per l'Italia, costretta a sborsare subito 14 miliardi di euro di capitale e pure a garantire fino a 125 miliardi di euro di debito avendo la certezza matematica di non potere usufruire di quelle stesse risorse in caso di bisogno. Il Blog delle Stelle chiese a Conte di esercitare un veto sulla riforma. Il Pd fu ancora più duro, con un intervento di Lia Quartapelle che spiegò come dicendo sì l'Italia si sarebbe impiccata. Non sappiamo come andarono le cose quel 21 giugno perché Conte non informò il Parlamento italiano dell'esito dell'incontro. Gli uomini del Pd oggi dicono che nel testo furono poi inserite le osservazioni fatte dall'Italia. Ma è palesemente falso. Perché la bozza di allora è praticamente identica a quella di adesso, soprattutto nei passaggi che fanno diventare l'Italia grande donatore di sangue, impedendole però di riceverne mai le servisse una trasfusione. Quindi qualcuno non la conta giusta. Immagino che il premier quel 21 giugno si sia preoccupato di arginare una offensiva più immediata: la richiesta avanzata da altri paesi di una procedura di infrazione contro l'Italia per le sue condizioni di finanza pubblica. Possiamo comprendere l'uomo stretto fra due fuochi. Ma non il premier che costretto a scegliere avrebbe dovuto puntare sull'altro fronte, quello del Mes, che è assai più importante. E in ogni caso avrebbe dovuto spiegare al suo ritorno tutto davanti al Paese, cosa che non ha fatto. Il latte versato ormai è quello, ed è inutile stare a piangerci su. Ma non tutto è perduto, come ostinatamente continuano a sostenere i ministri Pd. Quella bozza non è ancora firmata e l'Italia può fare capire agli altri paesi che da oggi per quanto stretta imboccherà con decisione la strada di una revisione di quel testo modificando ogni meccanismo automatico che verrebbe a penalizzarla. Altrimenti la firma sotto la riforma del trattato non la metterà nessuno, spread o non spread. Così si comporta una classe dirigente che ha cuore il bene e il futuro dei cittadini del suo paese. E da questa storia si capirà se ce l'abbiamo una classe dirigente così...

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