dalla burocrazia alle tasse
Sardine? No, meglio aragoste
Care sardine, la verità è che qui servirebbe un’aragosta. Per troppo tempo questa nostra cara Italia ha sopportato il pauperismo come via alla propria salvezza politica. Le tasse, troppe, da abbassare e che non sono mai state abbassate. Il lusso, vissuto come colpa, dallo champagne al caviale. Anche se frutto di onesti guadagni. I contanti, segnati come simbolo di un Paese che non va. La burocrazia a soffocare i talenti. E poi quel gusto di far passare sempre i contribuenti alla cassa, per pagare, fosse l’Imu, la tassa sulla plastica, o quel balzello, anni fa, necessario a farci entrare nell’euro, la moneta unica. C’è una penitenza costante che segna le politiche nazionali di centrosinistra degli ultimi decenni, come se noi italiani dovessimo sempre dimostrare di essere all’altezza. Non c’è nulla che dobbiamo dimostrare, siamo un grande Paese con vizi e virtù e nel sentimento popolare è questo ciò che conta. Il populismo, che voi sardine combattete, altro non è che la risposta all’eterna fustigazione di un Paese che si è rotto le scatole della retorica da cilicio. Se il populismo sia la risposta giusta oppure no lo scopriremo quando il populismo andrà al governo, se gli italiani lo voteranno (alle prossime elezioni politiche). Senza bisogno di manifesti da sardine da affiggere sulle spalle dei sovranisti. Perché essere protestanti oggi in Italia, riformare questo Paese, richiede il coraggio dell’aragosta. Il farla finita con la colpa, dal debito ai patti di sacrificio con l’Europa. Per questo serve un’aragosta, bella, grande. Saporita. Costosa. Perché la retorica della povertà e del sacrificio (pesci o no) ha stancato.