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Tormentone "sardine"Così a sinistra si danno all'ittica

Matteo Salvini

Ieri il pericolo democratico aveva le fattezze di Berlusconi, oggi il rischio per la democrazia ha la fisionomia di Salvini

Andrea Amata
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La rivoluzione ittica capeggiata dalle "sardine", quale riedizione dell'attivismo politico di matrice ludica che ripercorre i girotondi e le contestazioni del popolo viola, per sottrarre il popolo-pinna al fiocinatore Salvini conferma la tendenza della cultura progressista ad appropriarsi, unilateralmente, di una missione salvifica e ad additare l'avversario di turno come minaccia per la democrazia. Ieri il pericolo democratico aveva le fattezze di Silvio Berlusconi, oggi il rischio per la democrazia ha la fisionomia di Matteo Salvini. Il Partito democratico di Zingaretti non sa che pesci prendere e si lascia irretire dalle "sardine", finendo nella obsoleta e manichea trappola narrativa che contrappone l'ectoplasma Fascismo, reincarnato nel successo dei movimenti sovranisti, all'esaltazione aprioristica di chi vi si oppone. La fase "liquida" della contemporaneità ha sgretolato le appartenenze comunitarie che si ricompongono in esibizioni collettive transitorie grazie all'impulso aggregante delle nuove tecnologie che raccolgono comunità estemporanee ed intermittenti. Il flash mob delle "sardine", che a Bologna e a Modena ha mobilitato migliaia di persone con il collante antagonista anti-leghista, si è formato per negazione in un contagio emozionale, poco incline al ragionamento e persuaso dalle suggestioni, che aggrega appartenenze "usa e getta" finalizzate non alla proposta, ma al rifiuto che possa materializzarsi un progetto politico alternativo a quello vigente. In Emilia-Romagna governa da sempre la sinistra e l'ipotesi dell'alternanza al governo regionale non dovrebbe fomentare appelli apocalittici per preservare il sistema democratico che, semmai, si svigorisce dalla persistenza statica di un assetto di potere. Dunque, in una sorta di acrobazia logica si mobilita la piazza per difendere la democrazia dall'alternanza che è, invece, il principio rigeneratore dell'organizzazione democratica. A coronare tale ossessione, che trasforma i fantasmi in reali e il reale in fantasmatico, ci ha pensato il Pd che a Bologna ha varato il nuovo statuto del partito che si decreta «antifascista, moderno e online». Dichiararsi antifascista e contestualmente moderno significa elevare l'ipocrisia e l'ambiguità a riferimento della propria azione politica, perché i due termini non possono coabitare essendo ossimorici come la locuzione "velocità lenta" o "oscura chiarezza". Inoltre, specificarsi come partito online è l'ulteriore prova del cedimento culturale in favore del MoVimento 5 Stelle che sul web ha costruito il suo iniziale successo, oggi in declino inarrestabile, e a cui ha affidato l'organizzazione della "democrazia diretta" con le insidie di una manipolazione incombente. Zingaretti voleva rivalutare la democrazia rappresentativa ma, al contrario, ha subordinato l'identità del suo partito al dispositivo tecnologico che la vuole vulnerare e vanificare, con la rete che ha sostituito l'intermediazione partitica ed esautorato lo "specialismo" della politica. Ci mancavano le "sardine" ad agitare l'acquario di una sinistra che ancora armeggia con parole d'ordine nostalgiche e avulse dalle esigenze contemporanee. Le "sardine" agiscono non solo come critica alla classe dirigente Dem ma si pongono in sostituzione della stessa. Presto scopriremo chi finirà inscatolato in salamoia.

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