le memorie del direttore di libero
Feltri, quanta paura in volo con Pannella
Pubblichiamo uno stralcio dell’ultimo libro di Vittorio Feltri «L’Irriverente, memorie di un cronista» (Mondadori, 112 pagine, 17 euro), che verrà presentato oggi a Roma alle 18 al circolo Canottieri Aniene Conobbi Marco Pannella in occasione del processo Tortora. Fu lui a telefonarmi dopo avere letto i miei servizi sul «Corriere della Sera» relativi a quell’intricata vicenda giudiziaria, i quali, come già ho ricordato in precedenza, spiccavano in quanto offrivano un punto di vista opposto a quello dominante nella stampa italiana che aveva sposato con soddisfazione la tesi colpevolista calpestando il principio sacrosanto della presunzione di innocenza. Io non ero assolutamente innocentista, tuttavia i miei articoli, mettendo in risalto l’improbabilità delle accuse rivolte al presentatore, sollevavano dubbi, poiché questo è il dovere morale del giornalista. Su sua espressa richiesta incontrai nella capitale Pannella, che mi manifestò il desiderio quasi disperato di aiutare Tortora. In effetti, poco tempo dopo, lo candidò nelle liste del partito radicale ed Enzo fu eletto europarlamentare. Però la squallida faccenda non era chiusa, la strada fu lunga e tortuosa. Marco ogni tanto mi chiamava per avere aggiornamenti sul procedimento, dal momento che non si fidava molto dei quotidiani. Un giorno mi disse che gli avrebbe fatto davvero piacere essere intervistato dal sottoscritto e lo accontentai con un lungo colloquio a 360 gradi pubblicato sul «Corriere». Il nostro rapporto si consolidò in breve tempo, forse perché eravamo un po’ simili, ci appassionavamo alla medesime cause. Ricordo che una volta mi invitò a prendere parte a un comizio a Milano, in piazza Duomo, e non ebbi il coraggio di rifiutare, nonostante io non sia un tipo da discorso solenne nell’agorà. La piazza era gremita di gente giunta da ogni dove. Marco si dilungò nel suo intervento, io invece fui conciso e suscitai qualche risata nel pubblico. Diciamo che, quando sono in difficoltà, riesco comunque a cavarmela(...) La cosa più divertente che feci con Pannella fu accompagnarlo nella sua campagna elettorale. Il «Corriere» mi incaricò di seguire i grandi leader italiani durante i loro comizi. Solo Craxi, non gradendola, si oppose strenuamente alla mia presenza. Feci la cronaca dell’apostolato di Renato Altissimo, di De Mita e di altri grandi di allora, incluso Pannella. Il quale si trovava a Roma e da Roma si sarebbe recato in Sicilia, a Palermo. Dunque, mi invitò ad andare con lui, su un aereo privato che gli era stato concesso da Antonio Locatelli. Il che non mi dispiaceva affatto, dato che avrei evitato le lungaggini che precedono l’imbarco. All’orario stabilito mi presentai a Ciampino, ai voli civili, nell’area da cui decollavano gli aerei personali dei miliardari italiani. E attesi l’apparizione del politico. Nel mentre alcuni operai conducevano all’esterno di uno dei capannoni un aeroplano zoppo. Restai impressionato dal fatto che un velivolo tanto antiquato fosse ancora in circolazione. Lo osservavo con distacco pensando: «Non sarà mai questo mezzo così sfigato quello su cui viaggeremo noi». Invece mi sbagliavo. Oltre a me era presente il collega Massimo Franco, ora editorialista del «Corriere». All’epoca lavorava al «Giorno». Ci fecero salire su questo trabiccolo, anzi catorcio. Ci guardammo e ci venne anche da ridere dal momento che la situazione appariva surreale. Eppure eravamo molto preoccupati. Un tetro presentimento si impossessò di noi allorché sopraggiunse un pittoresco pilota, il quale avrà avuto tra i 50 e i 60 anni. Indossava un casco di pelle marrone da aviatore con tanto di occhialini. Prendemmo posto e il velivolo iniziò a rullare. Ci sembrò di percorrere chilometri di pista, tuttavia l’apparecchio non si alzava mai, si rifiutava di prendere quota. Poi, finalmente, con grande sforzo, si staccò dal suolo. Stavamo volando sulla rotta per Palermo e ben presto sotto di noi vedemmo il mare. Io ero come paralizzato dal terrore. E pensavo: «Chi diavolo me lo ha fatto fare? Se crepo qui con Pannella, lascio una moglie e quattro figli». Intanto il leader dei radicali russava. Con un sincronismo stupefacente era letteralmente piombato nel mondo dei sogni non appena si era accomodato sul sedile. Massimo e io, invece, eravamo sveglissimi e nelle nostre vene scorreva adrenalina a fiotti. Come se non bastasse, a un certo punto, ci imbattemmo in un furibondo temporale. La cabina tremava, veniva sballottata da una parte e dall’altra, avevamo la sensazione di precipitare, per poi riprendere momentaneamente quota. «Vabbè, qui andiamo giù e buonanotte» mi dissi. Quasi mi ero rassegnato e gli episodi salienti della mia vita mi scorrevano davanti come scene di un film di cui io ero il protagonista(...) Marco Pannella mi telefonava spesso quando ero al «Giornale» e poi a «Libero», e sempre di domenica, quando mi trovavo a Bergamo e, accomodato sulla mia poltrona, guardavo la partita. Marco cominciava a parlare di tutto. Faceva veri e propri monologhi, era quasi impossibile inserirsi nel discorso in quanto non si concedeva pause. Le chiamate duravano una buona mezz’ora che diventava un’eternità. Marco mi raccontava le sue battaglie e i suoi propositi. Una volta gli chiesi a che diavolo servissero i suoi digiuni, che io ritenevo fossero inutili. Egli ci credeva davvero, li considerava determinanti e andava avanti a cappuccini. Un dì, durante uno dei suoi scioperi, stavolta della sete, venne addirittura ricoverato in ospedale. Era messo male. Fu accontentato nelle sue richieste e riprese a nutrirsi. Partecipammo insieme alla presentazione del libro Detenuti di Melania Rizzoli. Era presente anche l’allora ministro della Giustizia, Paola Severino. Affrontammo uno degli argomenti che a Marco stavano più a cuore: quello relativo ai diritti delle persone che vengono private della libertà personale. Pannella era molto amato dagli italiani, sia di destra che di sinistra, metteva d’accordo tutti e possedeva una generosità straordinaria: se c’era una causa persa lui la cavalcava e questo aumentava la simpatia popolare nei suoi confronti, sebbene non abbia mai avuto delle grandi soddisfazioni. Marco non è mai stato ministro, tuttavia, se l’Italia si è ammodernata e ha avuto uno svecchiamento, lo si deve proprio a Pannella, il quale fece innanzitutto la campagna per il divorzio. Era moderno, privo di pregiudizi. Io lo sostenni nella battaglia a favore dei reclusi. Pochi giorni prima di morire mi fece la solita telefonata torrentizia. Ricorrendo a un paragone automobilistico, di me diceva che ero come Indro Montanelli ma con un cilindro in meno. Di Marco apprezzavo anche il fatto che non parlasse mai male di Silvio Berlusconi, nonostante allora farlo fosse una sorta di obbligo morale, una moda imperante.