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Il grillino resta a casa: così sprofonda il M5s

Gli elettori pentastellati tornano all'astensione: resta un quarto dei consensi del 2018

Riccardo Mazzoni
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L'analisi dei flussi di voto elaborata dalla Swg dà la prima fotografia dei motivi per cui l'Umbria ha voltato pagina dopo oltre mezzo secolo di giunte rosse. Il primo dato è che il centrodestra, già forte alle Europee di maggio, ha strappato altri consensi alla coalizione spuria Pd-Cinque Stelle, con la Lega che ha sostanzialmente tenuto i suoi consensi lasciando comunque uno spazio abbastanza rilevante di crescita a Fratelli d'Italia, e nonostante la flessione di Forza Italia, la coalizione trainata da Salvini si è attestata al 57,5% contro il 51,2% di cinque mesi fa. Anche senza il partito di Berlusconi, Lega e Fdi, con la lista della nuova governatrice Tesei, supererebbero da soli il 50%, ma Salvini ha tenuto comunque a sottolineare che la vittoria è stata di tutta la coalizione, consapevole del fatto che l'utilità marginale di Forza Italia sarà decisiva per la conquista delle prossime regioni (Calabria ma soprattutto Emilia Romagna, dove si giocherà la partita cruciale). Sull'altro fronte, un elettore del Pd su cinque si è rifugiato nell'astensione, e solo il 66,4% ha confermato il suo voto al partito un tempo egemone, col risultato di una perdita abbastanza contenuta di consensi (-1,7%) rispetto alle Europee. Nulla di consolatorio, ovviamente, ma tenuto conto dell'alleanza costruita all'ultimo momento a tavolino con i nemici di sempre - che avevano denunciato gli scandali della Sanità portando allo scioglimento anticipato dell'assemblea regionale - poteva andare sicuramente peggio. Il vero disastro elettorale in Umbria lo ha subìto il Movimento 5 stelle, la cui parabola discendente sembra prefigurare un declino irreversibile: i voti rispetto alle europee si sono infatti dimezzati (da 14,6% a 7,4%), e sono ormai ridotti a un quarto del picco conseguito alle Politiche 2018: solo il 39,8% gli ha confermato il voto, mentre il 33,1% non ha votato, il 6,9% ha votato Fdi, il 6,6% Lega, il 4,3% Pd, il 5,2% liste diverse di centrosinistra e il 4,1% altri partiti. Le astensioni, cresciute di quasi sei punti dalle Europee alle Regionali di domenica, hanno penalizzato soprattutto Pd e Cinque Stelle, a riprova che una larga fetta dell'elettorato di sinistra non ha affatto gradito l'improvvisata commistione elettorale, celebrata improvvidamente in extremis con la foto di Narni che resterà il triste emblema di questa sconfitta storica. Nel complesso, infatti, Pd e Cinque Stelle hanno perso insieme quasi un quinto dei voti. Se poi, facendo un passo indietro, il raffronto si sposta dalle Europee 2019 alle Politiche 2018, la fotografia diventa ancora più devastante: Di Maio lascia sul campo il 75% dei consensi e Zingaretti il 25%. Dunque, l'Umbria avrà pure una consistenza numerica di elettori inferiore a quella della provincia di Lecce, come ha ricordato Conte nel tentativo di salvarsi la poltrona, ma che queste elezioni abbiano avuto una indubitabile valenza nazionale lo dimostra il fatto che rispetto alle precedenti Regionali l'affluenza è cresciuta di ben nove punti, attestandosi al 65%: è la conferma della voglia di votare che è cresciuta in modo esponenziale tra la gente nella breve era del potere giallorosso. Le motivazioni indicate da chi aveva votato Pd e M5S alle europee per non votare il candidato presidente del centrosinistra sono infatti inequivocabili, e segnano una solenne bocciatura anche dell'intesa nazionale che ha portato al Conte bis: il 38% degli ex elettori del Pd non approva politicamente la nascita della maggioranza giallorossa, il 18% è insoddisfatto dell'operato del governo, il 22% non conosce o apprezza il candidato Bianconi, e appena il 2% si dice deluso dal Pd umbro. Emerge dunque una solida maggioranza (56%) di chi non ha confermato il voto al Pd per motivazioni esclusivamente nazionali. Ancora più netta la contrarietà degli elettori grillini: il 54% non vuole l'alleanza col Pd, il 17% è insoddisfatto del governo Conte, l'8% non conosce o apprezza Bianconi, il 25% non ha risposto. Se a questo si aggiungono le intenzioni di voto nazionali prima del voto in Umbria, con la Lega che resta saldamente il primo partito sfiorando il 34% e arrivando da sola quasi ai consensi di Pd e Cinque Stelle insieme, il quadro diventa ancora più nitido: il governo Conte è netta minoranza non solo in Umbria, ma in tutto il Paese, e il premier non costituisce un valore aggiunto in grado di spostare gli equilibri elettorali che sono ormai consolidati da più di un anno, col centrodestra unito saldamente in vantaggio. Da tutto questo si evince che il presunto nuovo bipolarismo italiano, fondato sul centrodestra da una parte e sull'alleanza organica tra Pd e Cinque Stelle dall'altra, è solo una finzione politica che si è infranta sul primo scoglio, quello delle elezioni umbre, perché ha messo surrettiziamente insieme realtà e fantasia: la realtà di una coalizione consolidata e coesa (il centrodestra), contrapposta a quella posticcia e improvvisata delle sinistre, un esperimento in provetta nato solo per blindarsi nel recinto del potere senza una condivisione di valori e senza una comune visione del futuro. Ma quando le minoranze organizzate impongono il loro interesse su quello generale, si finisce per logorare la democrazia e la tenuta stessa del sistema. Per questo, prefigurare che l'alleanza giallorossa figlia del peggior trasformismo possa addirittura arrivare a eleggere il nuovo presidente della Repubblica - come ha ripetuto ieri Renzi - è una pericolosa fuga in avanti e una sfida aperta alla volontà popolare. Una sfida che Renzi ha rilanciato nell'intervista per il libro di Vespa, rivendicando di aver impedito, grazie alla sua manovra di Palazzo, la vittoria sovranista in caso di elezioni politiche. Ma sbandierare come un trofeo questo schiaffo alla maggioranza degli italiani rivela una chiara cultura antidemocratica, così come giudicare la sconfitta giallorossa in Umbria – da cui si è abilmente sottratto - figlia di un accordo «sbagliato nei tempi e nei modi» è un involontario atto di autoaccusa: se infatti l'alleanza in Umbria è stata sbagliata perché fatta «in fretta e furia, senza un'idea condivisa» - parole sue - in cosa divergerebbe mai da quella che ha portato all'esecutivo Conte bis, di cui lui è stato il più strenuo promotore? Il tatticismo esasperato, di cui il Rottamatore è da sempre maestro, porta però con sé inevitabili contraddizioni. Che prima o poi si pagano.

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