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La legge elettorale è la prova del nove per il centrodestra

Matteo Salvini

Riccardo Mazzoni
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Il referendum proposto da Salvini per eliminare la parte proporzionale dall'attuale legge elettorale ha anche un significato politico molto preciso: ricompattare il centrodestra in una battaglia a tutto campo in nome della sovranità popolare contro l'inciucio tra Pd e Cinque Stelle che ha portato alla nascita del Conte bis, un gioco delle tre carte e delle quattro sinistre legalizzato beffardamente sotto le insegne del superiore interesse nazionale. Né Forza Italia né Fdi hanno accolto con entusiasmo un'iniziativa giudicata frettolosa e che non passerà quasi certamente il vaglio della Corte Costituzionale, ma la Meloni si è prudentemente adeguata mentre Berlusconi ha preso marcatamente le distanze, dichiarandosi favorevole al mantenimento di una quota proporzionale e gettando così un po' di scompiglio nelle regioni governate dal centrodestra che entro il 30 settembre devono farsi promotrici del referendum costituzionale. Prima ha dato l'indicazione ai gruppi forzisti di astenersi, poi ha lasciato più saggiamente libertà di scelta. Ma se il problema contingente è stato risolto, la strategia resta parecchio confusa, anche se tempo per trovare un'intesa c'è, visto che il Pd ha accettato di dare via libera al taglio dei parlamentari senza incardinare contestualmente la nuova legge elettorale, che avrebbe dovuto ricalcare il sistema proporzionale della prima repubblica ma su cui Zingaretti, dopo la scissione renziana, ha già aperto una riflessione critica. E siccome, di solito, quando si approva una legge elettorale dopo pochi mesi si vota, la maggioranza non ha più alcuna fretta di votare la riforma. I rapporti di forza nel centrodestra sono radicalmente cambiati, ed è fisiologico che Berlusconi punti a preservare una quota proporzionale, ma Salvini ha ragione quando dice che la legge maggioritaria è un passo avanti nel nome della modernità del Paese, della governabilità e della trasparenza nel rapporto tra elettori ed eletti. E fa bene a ricordare che quella maggioritaria è una battaglia storica del centrodestra, quindi se qualcuno la rinnega dovrà spiegarlo ai suoi elettori. Il mantra del rispetto del voto degli italiani con la garanzia democratica che chi prende un voto in più vince e governa, come avviene nelle Regioni, è certamente condivisibile. Ma l'automatismo secondo cui una legge interamente maggioritaria come quella inglese, in cui in ogni collegio vince chi prende un voto in più, porti a determinare una maggioranza certa e un governo stabile è un'illusione, e infatti il sistema che aveva funzionato per decenni nel confronto tra Tories e Labour è andato in crisi quando sono apparsi sulla scena prima i liberali e poi Farage. Per cui, in questo senso, ha ragione Berlusconi quando sostiene che sarà necessario un approfondimento comune su quale maggioritario scegliere. Fratelli d'Italia, intanto, insiste per una legge che preveda almeno una quota di eletti col sistema maggioritario e un premio di maggioranza in grado di assicurare la governabilità, abbinandola a una riforma che preveda l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Anche il presidenzialismo è una battaglia storica del centrodestra, e saranno proprio legge elettorale e riforma costituzionale i banchi di prova della ritrovata esistenza del centrodestra unito come entità politica di fronte all'ammucchiata a sinistra che, partendo dal Conte bis, potrebbe diventare un'alleanza stabile e organica, peggiore perfino dell'accordo tra Ulivo e Rifondazione Comunista.

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