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Governano i cialtroni di Bibbiano

La poltronite acuta mette d'accordo Pd e M5s, entro dopodomani inizierà il Conte bis. Manca una cosa: le scuse vicendevoli per gli insulti scambiati fra alleati

Franco Bechis
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Entro mercoledì al massimo Giuseppe Conte consegnerà al presidente della Repubblica la lista dei ministri del nuovo governo, che non avrà vicepremier. Alla fine la poltronite acuta ha avuto la meglio sia all'interno del M5s che nelle fila del Pd sui maldipancia dei rispettivi sostenitori. Nascerà così il governo dei «cialtroni di Bibbiano». Detto cosi, lo capisco, sembra un tantino forte. Ma le parole non sono mie. Sono quelle che chi oggi va a braccetto si è scambiato fino a quindici giorni fa per sei anni. Gli esponenti del Pd chiamavano Luigi Di Maio e i ministri grillini «cialtroni» e «incapaci». Per il M5s il partito del Nazareno era quello «di Bibbiano», rapitore di bimbi. Queste parole - le ultime in ordine cronologico - non sono le più violente che si sono rivolti sia i sostenitori delle due forze politiche che gli stessi esponenti di punta in Parlamento. Per i grillini gli avversari politici erano i «piddioti», e perfino in aula quando polemizzavano con alcuni loro esponenti facevano il gesto delle manette per indicare che li ritenevano dei ladri. Gli altri rispondevano ai complimenti e ne aggiungevano di loro. Avveniva così nelle aule parlamentari, figurarsi cosa si poteva leggere sui social. Ora questi due gentleman della politica vanno insieme a braccetto dimenticando all'improvviso tutte quelle parolacce perché ne vogliono intonare qualcuna di più roboante nei confronti di Matteo Salvini, divenuto il nemico comune. Non ho citato tutto ciò per questioni di galateo e tantomeno per segnalare l'incoerenza della nuova unione politica di fatto. Non sempre la coerenza è virtù: le cose cambiano e non è male cambiare anche idea di fronte a fatti nuovi. Sembra grottesca semmai la frase pronunciata ieri da Giuseppe Conte per rivendicare una sua inesistente coerenza: «Non sono un premier per tutte le stagioni». Ecco, detto da chi ha guidato il governo più di destra della storia repubblicana e si appresta a condurre quello più di sinistra, fa davvero sorridere. Però i due acerrimi nemici che si sposano probabilmente per interesse, non possono ignorare quel che si sono detti, e prima della celebrazione delle nozze dovrebbero fare quel gesto necessario che potrebbe essere utile a tutta la politica italiana: riconoscersi e chiedersi scusa per quel che si sono detti con così grande violenza. E' un passo necessario, una lezione che non farebbe male a nessuna forza politica, e anche un tentativo doveroso nella loro condizione di smorzare l'odio che entrambi anche se in buona compagnia hanno seminato in questi anni, aizzando pure le truppe dei sostenitori. Già è stato un brutto inizio non avere sentito come primo dovere questo passo, inseguendo solo le convenienze di potere che questa unione poteva offrire. Ma sia pure un po' tardive queste scuse sono ancora in tempo e dovrebbero arrivare prima del giuramento nelle mani del presidente della Repubblica, che sarà calendarizzato questa settimana. Anche Conte dovrebbe sentire l'urgenza di chiedere questa pacificazione pubblica prima di dare il via a questa nuova stagione che lo vede ancora premier. Pur non credendoci, salverebbero almeno la forma. Altrimenti, come spiegheranno i leader Pd di avere contribuito a dare a gente che giudicavano incapace e cialtrona le redini del governo della cosa pubblica pur di conquistare uno strapuntino personale. E come spiegheranno i grillini ai loro di avere fatto la stessa cosa portando al potere gente che ritenevano mezza criminale? A fine luglio il capogruppo del M5s alla Camera, Francesco D'Uva, mi confidava alla buvette di avere trovato con sorpresa in Parlamento «tanta gente per bene». Lo diceva a me, ma non lo avrebbe mai spiegato ai suoi militanti sui social. Ecco, questa è l'occasione per farlo, e allora anche questo esecutivo un po' strampalato e di cui temiamo il programma, servirebbe a qualcosa.

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