d'alema in regia
Un inciucio un sacco Fico
Massimo D’Alema e Nicola Zingaretti. Un pranzo durato tre ore in una giornata di mezza estate in Umbria, a Otricoli, nella tenuta dell’ex presidente del Consiglio, pronto all’ennesimo ribaltone della sua vita politica. Nel menù c’è infatti il futuro del Paese. Per la precisione la nascita di un nuovo governo guidato da Roberto Fico e sostenuto da M5S, Pd, sinistre e autonomie. Il Lìder Massimo spiega al segretario Dem le ragioni alla base della necessità di dar vita a un nuovo esecutivo senza andare a elezioni anticipate. Un governo che faccia la manovra, certo, ma che sia anche di legislatura, fermi l’avanzata di Matteo Salvini e prepari, per il futuro, una nuova architettura politica per il centrosinistra. Inevitabilmente con i Cinque Stelle. Parole ascoltate molto attentamente da Zingaretti e non lontane da quanto, in queste ore, gli vanno dicendo Dario Franceschini e Goffredo Bettini. Del resto, già nella conferenza dei capigruppo del Senato l’asse M5S-Pd è una realtà. L’Aula di Palazzo Madama, infatti, si riunirà oggi alle 18 per stabilire il calendario definitivo della seduta del 20 agosto sulle comunicazioni che renderà il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Una decisione assunta a maggioranza dalla capigruppo, ma non all’unanimità e dunque non definitiva: di qui la necessità di convocare l’Aula a cui spetta l’ultima parola. Toccherà alle forze politiche che in capigruppo hanno avanzato una proposta diversa - Lega, FdI e FI, che hanno chiesto che l’Aula venisse convocata domani mercoledì 14 e non sulle comunicazioni di Conte bensì sulla mozione di sfiducia al premier: richiesta respinta dalla capigruppo - avanzare e mettere ai voti la richiesta di modifica del calendario. Se oggi nessun gruppo propone un diverso ordine del giorno per la seduta dell’Aula di palazzo Madama e un diverso giorno rispetto al 20 agosto, il calendario stabilito ieri dalla conferenza dei capigruppo a maggioranza sarà definitivo. Se, invece, uno o più gruppi propongono modifiche, allora le richieste saranno messe in votazione e passeranno se otterranno la maggioranza dei voti. Lega, FdI e FI hanno però poche possibilità di cambiare il calendario e di ottenere che la mozione di sfiducia a Conte venga discussa e votata domani. I numeri, sulla carta, parlano chiaro. Le tre forze di centrodestra possono contare su 138 voti: 58 della Lega (ma Bossi, ancora in convalescenza, sarà assente), 62 di FI e 18 di FdI. Il fronte opposto, costituito da M5S, Pd, Autonomie e Misto può contare invece su almeno 170 voti se non 175, numeri che però potrebbero crescere ancora. I 5Stelle hanno 107 senatori, 51 il Pd, 8 le Autonomie, più almeno 8 senatori su 15 del Misto. Ai numeri sulla carta, tuttavia, potrebbero dover essere sottratti alcuni senatori che non riusciranno a rientrare a Roma in tempo. Ma, salvo sorprese, oggi l’Aula confermerà la convocazione del 20 agosto sulle comunicazioni del premier. Un’eccessiva dilatazione dei tempi che manda su tutte le furie Matteo Salvini. «Siamo pronti a tutto, anche a ritirare i ministri - tuona il leader leghista - Mi affido alla saggezza del presidente della Repubblica è evidente che non c’è un’altra maggioranza. Chi ha paura delle elezioni teme di non tornare in Parlamento, Renzi è l’immagine più evidente. L’unico patto è quello della poltrona tra Renzi e i 5Stelle. Renzi, Boschi, Fico e Toninelli fanno la manovra? In un momento in cui ci vuole coraggio, ma dai.... A noi non interessa scaldare la poltrona né tenere bloccato il parlamento: perché non si può lavorare a Ferragosto? L’Italia che produce chiede di fare in fretta». Salvini, che dopo la riunione con i gruppi parlamentari s’incontra con tutti i ministri del Carroccio, vede come fumo negli occhi tutto quello che ritarda e allontana il voto, perché teme che ogni minuto di «stasi» politica possa aumentare le chance di una maggioranza alternativa davanti alla quale il capo dello Stato, Sergio Mattarella, non potrebbe che prenderne atto e affidare un incarico. La strada delle dimissioni dei ministri potrebbe essere quindi percorsa per accorciare i tempi istituzionali che gli altri partiti stanno cercando di allungare. Conte potrebbe sia decidere di salire immediatamente al Quirinale e rassegnare le dimissioni, sia assumere l’interim di tutti i ministeri, una scelta ardita ma non impossibile.