caos democratico

Guerra delle petizioni nel Pd. Spunta Calenda e Renzi si sfila

Davide Di Santo

Per ora è solo la fusione di due petizioni con lo stesso scopo, ma l’ennesimo tentativo di "unità" nel Pd suscita sempre interesse. A lanciare la proposta è l’eurodeputato e ispiratore del manifesto "Siamo Europei", Carlo Calenda, che ha preso i testi dei comitati civici vicini a Matteo Renzi e del Partito democratico targato Nicola Zingaretti, unendoli in un solo foglio. Poi, via Twitter, ha lanciato l’appello ai rispettivi leader a unire le forze per arrivare all’obiettivo: raccogliere migliaia di firme per chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Un’idea che ha scatenato le ire della minoranza dem e dell’associazione Sempre Avanti, nata dalla mozione congressuale Giachetti-Ascani. Proprio la deputata umbra ha risposto pan per focaccia all’ex ministro: «Carlo, basta. Non fa neanche più ridere. Renzi ha lanciato una mobilitazione riprendendo la nostra richiesta di mozione di sfiducia che tu ed altri avete ridicolizzato sostenendo che avrebbe ricompattato la maggioranza. Cambiato idea? Vuoi firmare? Bene». Una presa di posizione che ha portato alla reazione (puntuta) di Calenda: «Sono basito dall’astio nelle risposte dei membri dei comitati civici Ritorno al futuro. Mi pare chiaro che la priorità non è sfiduciare Salvini, ma sfiduciare chiunque non sia Renzi». Chiamato in causa molte volte, l’ex premier è intervenuto con un lungo post in cui annuncia lo stop alla raccolta delle firme «così evitiamo ogni polemica». Pur senza rinunciare a togliersi qualche sassolino dalle scarpe: «Abbiamo raccolto in due giorni più di trentamila firme, oggi ci viene detto che la raccolta firme va bloccata, sostituita o unita a quella improvvisamente annunciata dalla segreteria del Pd. Avverto forte il rischio di cadere nel ridicolo», ma «il tormentone di agosto non può essere il derby sulla raccolta firme». Intanto Zingaretti non entra in questa partita e rilancia, invece, sulle mancanze del governo Lega-M5S: «In Europa e nel mondo non contiamo più nulla: dovevano cambiare tutto, non trovano neanche un commissario per rappresentarci», facendo chiaro riferimento alle trattative per ottere un portafoglio di peso nella nuova squadra di Ursula von der Leyen. Nel 1981 Franco Battiato cercava il suo ’centro di gravità permanente', per non cambiare continuamente idea. Erano gli anni del Pci di Enrico Berlinguer, che si trasformava lentamente in partito di massa dopo aver provato la via del ’compromesso storico' con i cattolici, saltato dopo l’omicidio di Aldo Moro (1978) e la ritrosia della base. Quasi quarant’anni dopo, il Partito democratico, che avrebbe dovuto raccogliere la sfida del ’Dolce Enricò, non riesce proprio a trovare una linea comune. I tempi sono cambiati, come le lotte politiche, ma la musica nel Pd è sempre la stessa.