linguaggio sessista
A Velletri arriva il sindaco "boldrino"
Il boldrinismo è vivo e lotta riaffiorando, talvolta, con spericolate operazioni di neo lingua femminista, dagli effetti comici. A Velletri, ad esempio, la Giunta ha adottato una deliberazione dal titolo eloquente: «Adozione Linee Guida per un uso non sessista della lingua nell’Amministrazione pubblica». Facile, facilissimo comprendere la finalità. Ai poveri impiegati comunali viene chiesto, negli atti ufficiali, di fare equilibrismo sulla lingua italiana, già complicata di suo, per evitare discriminazioni ai danni delle donne. E nel documento si danno, indicazioni il più approfondite possibile, con un esito complessivo a dir poco esilarante. «Utilizzare quando è possibile nomi collettivi o astratti e non il maschile. Es. invece che i diritti dell’uomo è opportuno scrivere i diritti dell’umanità» (come se «umanità», poi, non derivasse etimologicamente da «uomo»). Tuttavia c’è una cautela: «I nomi dei soggetti giuridici o le citazioni non possono essere cambiati. Es. Corte europea per i diritti dell’uomo non può essere trasformata in Corte Europea per i diritti dell’umanità». Meno male. E ancora: «Davanti ai nomi propri o ai cognomi omettere l’articolo (es. Giovanna e non la Giovanna)». Poi, fondamentale: «Evitare il titolo Signorina: utilizzato come forma di identificazione della donna rispetto allo stato civile, in realtà realizza una discriminazione di genere». E qui nel suo eterno riposo si rivolterà il buon Guido Gozzano, che ebbe l’ardire di scrivere, più cent’anni fa, la «Signorina Felicita», mai pensando che quell’epiteto di galanteria sarebbe stato stravolto nei secoli a venire, in un timbro dispregiativo. Poi c’è un grande classico: «I nomi di professione e di ruoli istituzionali devono essere declinati al femminile se si riferiscono a donne (es. la Sindaca, la Consigliera comunale, la Dirigente, la Funzionaria, la Responsabile di posizione organizzativa, l’Architetta, la Geometra etc)». Andando avanti nella lettura, un altro paragrafo si premura di fornire «visibilità al genere femminile», che significa «esplicitare la forma maschile e femminile sdoppiandola: tutti i consiglieri e tutte le consigliere sono invitati...», però c’è anche la scappatoia per risparmiare spazio: «tutti/e i/le consiglieri/e sono invitati/e...». Ma siccome la guerra semantica al maschile va combattuta sino in fondo, in conclusione del documento si legge: «In sintesi, il Comune di Velletri esorta tutti i Dirigenti e dipendenti comunali», tra le altre cose, «ad evitare l’uso delle parole uomo e uomini in senso universale» e, qui viene il bello, ad «evitare le parole: fraternità, fratellanza, paternità quando si riferiscono a donne e uomini». E allora sorride, parlando al telefono con Il Tempo, Chiara Ercoli, consigliere («non voglio mi si definisca consigliera!», si premura) di opposizione: «Adesso come faccio? Il mio partito si chiama Fratelli d’Italia, verrò mica messa al bando? O dovrò far cambiare nome al mio partito?». Poi, però, il tono si fa più serio: «La valorizzazione delle donne non dipende dal modo in cui i nomi vengono declinati. Io a Velletri sono l’unico consigliere d’opposizione. Il mio partito è guidato da una donna, Giorgia Meloni, che ha dimostrato sul campo la sua forza. È l’impegno, e non una vocale, a certificare il valore di una persona, uomo o donna che sia». Ma ovviamente nel mondo burocratico del politicamente corretto tutto si riduce a norma, a regola entro cui inscatolare ogni azione. E non viene che da solidarizzare con i poveri impiegati e funzionari del Comune di Velletri, che ora dovranno addentrarsi in questo campo minato di vocali, plurali e tortuosità linguistiche per non incappare nell’anatema della nuova religione femminista.