Conte fa lo sgambetto a Salvini
Il premier annuncia in un monologo alla stampa la revoca del sottosegretario leghista Siri. Così accontenta il M5s. Ma per non irritare l'altro socio, fa finta che l'indagine non c'entri
Come molti bookmaker scommettevano alla vigilia, ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha preso la decisione che gli aveva intimato il suo azionista di maggioranza, che è il M5s: ha annunciato l'espulsione dal governo del sottosegretario leghista Armando Siri, da alcune settimane indagato per corruzione. Probabilmente Conte non aveva altra scelta, perché come politico è una creatura dei grillini: gli italiani non lo hanno eletto né lì né altrove anche perché non sapevano chi fosse (l'ultimo premier votato resta ancora a 11 anni di distanza Silvio Berlusconi), e la Lega lo ha accettato probabilmente come guida del governo proprio per l'assenza di un suo passato. Pur dovendo obbedire al suo principale azionista, Conte ha provato a dare una spiegazione della sua scelta che non irritasse troppo l'altro azionista Matteo Salvini e che – almeno nelle sue intenzioni - non mettesse troppo all'indice lo stesso Siri. Ma per farlo si è parecchio arrampicato sui muri. Stando alle motivazioni del premier, il sottosegretario verrebbe revocato dal consiglio dei ministri non perché indagato per corruzione, ma per un comportamento politico ritenuto talmente grave da avere fatto cadere ogni rapporto di fiducia con lo stesso Conte. La scelta è furba, perché sottrae lo stesso capo del governo dall'applicazione di automatismi legati alle scelte dei magistrati. Furba perché evita di mettersi nei guai come sarebbe certamente accaduto nel caso qualche altro esponente del governo, magari dello stesso M5s, venga in futuro raggiunto da un avviso di garanzia. Ma anche scelta intelligente perché come abbiamo sottolineato nei primi giorni del caso Siri, qualsiasi automatismo avrebbe scaricato sulla magistratura a seconda dei casi un imbarazzo improprio o una tentazione irresistibile (se lo indago lo butti fuori dal governo). Meglio dunque la contestazione politica. Il succo del discorso di Conte è stato questo (lo sintetizzo con parole mie): «Noi facciamo cose solo trasparenti e a vantaggio di tutta la collettività. Siri invece, parlando due ore con me, ha ammesso di avere provato a fare passare un emendamento sull'eolico che sarebbe divenuto una sanatoria solo per alcuni (quelli che lo hanno spinto a presentarlo), e non un vantaggio per tutti. Compiendo un atto contrario alla filosofia del nostro governo Siri ha tradito la mia fiducia, e per questo propongo la sua revoca dal governo». Conte così ha trovato una via di uscita, che però è apparsa piuttosto appiccicaticcia. Non voglio annoiare il lettore, ma dal decreto dignità alla stessa legge di bilancio per il 2019 il premier Conte ha apposto la sua firma sotto articoli e commi di legge che non vanno affatto a vantaggio di tutti gli italiani, ma solo di alcuni. Scegliendo spesso le richieste di una categoria contro quelle di un'altra. È normale che sia così, ed è sempre avvenuto così. Faccio un esempio: le ragioni dei tassisti sono diverse e contrapposte a quelle degli Ncc. Il governo dopo avere ondeggiato a lungo ha scelto quelle dei tassisti rendendo furiosi gli Ncc. Ha fatto gli interessi di tutti gli italiani? No, ha fatto una scelta. E così in mille altri casi. Quindi il principio contestato a Siri è stato violato decine di volte dallo stesso Conte, da Luigi Di Maio e da ciascuno dei ministri. Dunque quella del premier è stata una sceneggiata: ha preso una decisione che non poteva fuggire e ha provato a vestirla con abiti di scena che dessero meno nell'occhio. Non sembra avere centrato l'obiettivo perché Matteo Salvini in Ungheria ha reagito come chi non l'aveva presa un granché bene, pur riuscendo a frenare la lingua rispetto ai suggerimenti dell'istinto. Di sicuro il leader della Lega è furioso con il premier e con quello che dovrebbe essere l'alleato di governo. Ma non può fare molto: se facesse cadere il governo solo per difendere un suo sottosegretario accusato di corruzione, pagherebbe cara la scelta nelle urne. Questa vicenda un po' costerà a Salvini, perché ieri Conte con il suo gesto gli ha di fatto sfilato quegli stivaloni da dittatore che molti gli disegnavano addosso. Non è lui il capo di questo governo, quello che fa il bello e il cattivo tempo come si diceva. All'inizio sembrerà un danno di immagine, ma forse alla fine pure un vantaggio: potrà smarcarsi più credibilmente dalle cose indigeribili al suo elettorato varate da questo esecutivo. E Siri? Che farà ora? L'unica cosa possibile: evitare al suo leader uno scontro drammatico in consiglio dei ministri, dimettendosi prima di quella riunione.