Salvini a Corleone. E Di Maio attacca: "Su Siri no paraculismo"
Polemica sulle celebrazioni del 25 Aprile. Ancora botta e risposta a distanza sulle dimissioni del sottosegretario leghista Siri
Ormai non c'è più una zona franca nel governo, tutto può diventare terreno di scontro. Anche le celebrazioni per il 25 Aprile. Seppure con toni decisamente più pacati rispetto alla vigilia, e a dispetto degli appelli all'unità, la Liberazione divide i due attori della coalizione di governo. Anche solo a livello geografico, con Luigi Di Maio impegnato tra Roma e l'Umbria, e Matteo Salvini in giro per la Sicilia, partendo da Corleone fino a Bagheria e Caltanisetta. "Il 25 Aprile divide chi non vuole festeggiarlo", apre le danze il capo politico M5S dalla sinagoga Beth. Aggiungendo però di non voler essere "divisivi in una giornata di unione". La parola d'ordine, dunque, è "niente polemiche". Ma l'equilibrio è fragilissimo. Soprattutto quando è Salvini a prendere la parola dal cuore della Sicilia. "C'è un Paese contento che il governo italiano fosse anche qua e sono felice della mia scelta. Non so dove fossero altri colleghi ministri, ma spero che la rispettino". Poi, punzecchiando trasversalmente alleati, oppositori e commentatori, il vicepremier dice: "Voglio tranquillizzare alcuni colleghi: non torneranno né il fascismo, né il comunismo, né il nazismo". Perché il suo obiettivo è "liberare l'Italia da tutti gli estremisti, di destra e di sinistra. Non vorrei che qualcuno fosse monodirezionale, in Germania o in Italia". Ma il match a distanza tra i due soci di governo prosegue anche sul caso di Armando Siri. Il capo politico M5S non molla di un millimetro la presa e, infatti, anche nel giorno della Liberazione torna a chiedere che il sottosegretario leghista lasci: "Siri si deve dimettere e se non lo fa, lo chiederemo con ancora più forza, all'interno del governo". Il ministro dello Sviluppo economico è un panzer: "Lo dico a tutti, anche al presidente del Consiglio, perché noi in qualche modo lo abbiamo disinnescato e neutralizzato togliendogli le deleghe, ma quella è un'indagine di corruzione che riguarda anche fatti di mafia". La risposta di Salvini, anche se a centinaia di chilometri di lontananza, arriva quasi in contemporanea. Da Corleone, il ministro dell'Interno rintuzza: "Siri resta dov'è. Ci mancherebbe altro". È convinto che "chiarirà tutto" e rivela i particolari del loro ultimo colloquio: "Gli ho chiesto 'sei tranquillo?', mi ha detto di sì, e gli ho risposto che se è tranquillo lui, lo sono anche io. Vuole essere ascoltato prima possibile dai magistrati". Il segretario del Carroccio, poi, pur andandoci coi piedi di piombo, cita la notizia diffusa dal quotidiano 'La Verità': "Sembra, e sarebbe gravissimo, che quelle intercettazioni di cui si parla da giorni non esisterebbero". Nel frattempo, Di Maio rincara la dose: "L'indagine, che mi auguro veda prosciolto e innocente il sottosegretario Siri, non può assolutamente contemplare il concetto di garantismo". Il leader pentastellato ne ha anche per il suo alleato di governo: "Per liberare il Paese dalla malavita devi soprattutto evitare che la politica abbia anche solo un'ombra legata a inchieste su corruzione e mafia", altrimenti "che senso ha festeggiare a Corleone. La mafia la elimini se dai prima di tutto l'esempio". Al fianco del ministro del Lavoro si schiera anche il presidente della Camera, Roberto Fico, tra i primi attivisti ad aderire al progetto del Movimento 5 Stelle nel 2009. Da Napoli, la terza Carica dello Stato spiega il suo punto di vista sul caso che scuote l'esecutivo: "C'è l'innocenza fino a prova contraria, ma quando ci sono situazioni particolarmente gravi, i partiti devono senza dubbio dare una risposta forte". Lo scontro si alza di livello ora dopo ora. Di Maio, in piazza a Perugia, tuona: "È vero che esiste la presunzione di innocenze, che il garantismo, ma non è "paraculismo", quindi facessero il loro dovere morale e rimuovano Siri". L'aria dell'Umbria inebria il leader Cinquestelle, che colpisce più volte il socio leghista: sui rimpatri mancati, sull'Autonomia ("giusto darla ai cittadini, ma non per spaccare l'Italia in 2 o 3"), sulla legittima difesa ("non deve servire a far proliferare le armi") e ancora sulla presenza di Salvini al Congresso mondiale delle famiglie a Verona. Il motivo lo spiega così: "Molte mamme mi fermano e mi dicono 'non litigate', ma come si dice a Roma, 'quando ce vò, ce vò'". Tutti segnali che la vicenda è destinata a occupare ancora molto spazio nel dibattito politico.