impunità
"Uno scrittore perseguitato". Peggio di lui solo gli amici
No, non si cancella lo scudo dorato per anni parato innanzi al fuggiasco Cesare Battisti, in barba alle ferite aperte di quattro famiglie ancora in lacrime per i rispettivi morti ammazzati, nell’attesa che la giustizia fosse applicata nel suo esito più elementare, ossia mandando un assassino in galera. Non si cancella nonostante l’equilibrismo dimostrato ieri dal vignettista Vauro Senesi: «Mi assumo tutta la responsabilità politica e morale della mia firma sotto l’appello per Cesare Battisti del 2004» ha sostenuto in un intervento sul sito del Fatto Quotidiano. Poi però ha detto: «In realtà fu una persona, della quale non farò il nome, ad apporla per me, dando per scontata una mia adesione. Avrei dovuto ritirarla al tempo e non lo feci per colpevole superficialità e malinteso senso di amicizia». L’appello in questione risaliva al 2004. Cesare Battisti si trovava in Francia da quasi tre lustri, lì riparato grazie alla dottrina Mitterrand, una sorta di protezione che il presidente socialista della Repubblica, nell’82, aveva garantito per gli autori di «crimini inaccettabili» ricercati da Paesi il cui sistema giuridico non era considerato in linea con la concezione francese di libertà. Con la scusa, la Francia divenne l’ala calda sotto cui terroristi politici mettevano al caldo le terga. Però Battisti era stato arrestato, nel 2004, per motivi futili (la lite con un vicino) e l’Italia, allora governava Berlusconi, chiese l’estradizione. Si mobilitò il generone radicalchic, saldandosi in unico blocco italofrancese. Nel nostro Paese fu... SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI