rebus manovra
Smutandati e beffati
Se non proprio calate alle caviglie, le mutande del governo italiano sono scese almeno al ginocchio lasciando scoperte le parti sensibili grazie alle concessioni sulla manovra 2018 fatte alla commissione europea. Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno dovuto rinunciare a circa 7,65 miliardi di euro di spesa rispetto al testo originario della manovra e ancora non sanno come trovarli in quel guazzabuglio che è il bilancio pubblico, e infatti di scritto al momento c'è poco o nulla. Il taglio è ben più rilevante di quel che si voglia fare sembrare, perché la calata di braghe sta avvenendo per gradi, con i ritmi di uno spogliarello. Prima via quel deficit al 2,4% del Pil che per settimane era sembrata la linea del Piave dell'esecutivo italiano. E con quel gioco comunicativo inventato da Rocco Casalino il deficit è sceso allo 2,04% del prodotto interno lordo italiano. La mossa non deve essere piaciuta un granché a Bruxelles, e Jean Claude Juncker invece di smontargliela con una malizia (tipo «Non basta, vogliamo almeno 2,02%», e il giochino andava a farsi benedire), ha messo alle strette Conte e il suo ministro dell'Economia Giovanni Tria con qualcosa di ben più sostanzioso: rivedete anche le stime di crescita per il 2018 e per il 2019, perché le vostre sono troppo ottimistiche e sensibilmente diverse da quelle di tutti i centri di ricerca italiani ed internazionali. Mutande un po' più giù, e accolta pure questa richiesta: il Pil 2018 cresce dello 0,9% e non dell'1,2% e quello 2019 crescerà dell'1 e non dell'1,5%. Detta così sembrano numeri scritti un po' sulle nuvole, invece sono fatti di carne e sangue. E cambiano parecchio. Perché la manovra gialloverde è partita pensando di spendere indebitandosi con un deficit finale di 43,7 miliardi di euro. Mutanda giù una prima volta (la percentuale di deficit rispetto al Pil), mutanda giù una seconda volta (il valore del Pil su cui applicare quella percentuale di deficit), la cifra finale si è ridotta a poco più di 36 miliardi. La cifra che manca ammonta appunto a 7,655 miliardi di euro, e va trovata proprio nella manovra o attraverso maggiori entrate o attraverso minori spese. Partiamo da queste: il grosso in uscita della legge di bilancio va a coprire il mancato aumento delle aliquote Iva che altrimenti sarebbe scattato su tutte le categorie a partire dal primo gennaio prossimo. Lì si può fare ben poco, perché o l'Iva aumenta o resta tale e quale: non c'è margine per risparmiare qualcosina senza fare scattare alcuna aliquota. Il grosso dell'altra spesa è suddiviso in due capitoli: reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni. Da lì equamente divisi si tagliano 4 miliardi secondo i primi annunci, ma ne servono altrettanti e da altre spese non possono venire. Quindi sarà necessario stringere ulteriormente quella dotazione, oltre a inserire la più classica delle supercazzole che con il suo nome inglese sembra una gran cosa: la spending review. È quel che stanno facendo in queste ore, ma una legge di bilancio è un pizzico diversa dalla diretta facebook o dalla comparsata televisiva: un minimo, anche fumoso, di dettaglio sui tagli da operare bisognerà pure inserirlo, e non sembra che ci sia materia così vasta condivisa da entrambi i soci di governo. Divertiti dallo spogliarello degli italiani a Bruxelles però lo spettacolo sembra non bastare, e gli euroburocrati sembrano lì con gli occhi beffardi puntati su Salvini e Di Maio: «Dài, togliti anche la camicetta...». Ieri dalla riunione dei capi gabinetto che preparavano la prossima riunione del consiglio europeo facevano filtrare la sensazione che la procedura di infrazione verso l'Italia non sia affatto scongiurata. Nella migliore delle ipotesi la decisione potrebbe essere congelata questa settimana e rinviata a gennaio nella speranza di vedere i testi approvati almeno dal consiglio dei ministri su mini reddito di cittadinanza e riforma della Fornero. Non è un grande epilogo per chi non solo faceva la faccia feroce verso questa «Europa che non ci piace», ma aveva intenzione di deviare da una storia per troppo tempo scritta e guidata dagli euroburocrati. Piuttosto che questo spettacolino da teatrino hot di terz'ordine, sarebbe stato molto meglio tirare diritto guardando Juncker & C. negli occhi e sfidandoli a viso aperto senza tentennamenti.