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Martina sfida Zingaretti e Minniti per la guida del Partito Democratico

Candidati anche Richetti, Damiano, Boccia e Corallo

Carlo Antini
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Una candidatura di squadra "fianco a fianco" con la gente, nel suo stile. Maurizio Martina sceglie il circolo Pd di San Lorenzo a Roma, quartiere dove è morta la giovane Desirèe Mariottini, per lanciare la propria corsa alla segreteria del Pd. Dopo giorni d'attesa, come promesso, scioglie le riserve la settimana dopo l'assemblea nazionale. L'ex segretario ci riprova e lo fa per portare a termine il lavoro cominciato all'indomani della sconfitta elettorale del 4 marzo. Sarà lui il settimo candidato dopo Nicola Zingaretti, Marco Minniti, Matteo Richetti, Cesare Damiano, Francesco Boccia e Dario Corallo. Tutti uomini, come fa notare Teresa Bellanova, tra le Dem più amate, in modo trasversale. Anche la sua candidatura è stata "molto richiesta" e non soltanto dal mondo renziano al quale appartiene. Ma, come precisa lei, al momento «non è all'ordine del giorno: valuterò quando saranno chiare le regole». Se lo facesse, spaccherebbe molti fronti: da quello di Minniti fino a Zingaretti e forse Martina. La senatrice non si risparmia una critica pungente al congresso, tacciato di essere una «bagarre tra nomi, peraltro di soli uomini e d'apparato». L'ex segretario potrà contare sulla presenza di diversi segretari di circolo e, secondo rumors, sull'appoggio di Graziano Delrio. Il capogruppo dei deputati, diversamente renziano, sembra infatti preferire il giovane Martina al più "rodato" ex collega di Governo. Minniti invece gode dell'appoggio di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, i due deputati che più si sono spesi per raccogliere le firme in appoggio alla candidatura dell'ex titolare del Viminale. Martina può anche contare su di una base forte nel Pd lombardo, specialmente quello giovanile. Arrivando ai numeri, la candidatura di Martina rischia di livellare ancora di più la corsa alla segreteria, rendendo la soglia del 51 per cento ancora più difficile da raggiungere. A quel punto bisognerà capire se varrà la regola che decide l'assemblea o se la commissione congresso cambierà le norme e vincerà chi ha preso più voti, senza quorum da rispettare.

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