"L'avesse fatta Renzi avrei detto no. Ma è una riforma che ci voleva"
Il senatore della Lega e presidente dell'Asi
«Il Coni non si è mai occupato dello sport diffuso, di quello di base, se non in termini di facciata e in parte attraverso gli Enti di promozione sportiva, limitandosi a preoccuparsi solo dei medaglieri». Claudio Barbaro è uomo di sport, prima che essere senatore e capogruppo per la Lega in Commissione Sport a Palazzo Madama. È presidente di Associazioni Sportive e Sociali Italiane, uno dei più importanti Enti di promozione sportiva e da sempre è impegnato per la diffusione dello sport come elemento di salute. Però, senatore Barbaro, in questo modo rischiamo di avere un nuovo carrozzone di Stato, tipo la Rai. «No, non sono d'accordo. Ad oggi, il Coni, che ha svolto negli anni egregiamente la sua funzione, è diventato una struttura verticistica che rischia di diventare anacronistica. Prova ne sia il fatto che la governance del Coni è espressa da un Consiglio nazionale di quasi totale estrazione federale, 70 su 75 membri, che, contribuisce ad alimentare un percorso vizioso di beneficiari del contributo e, contemporaneamente, di elettori». Ma con questa riforma, sarà il Ministero delle Finanze a decidere quale federazione spesare e per quanto. Di fatto, significa un controllo diretto della politica sullo sport. «Ma no, nessuno vuole mettere le mani sullo sport in questo senso. Qui si sta pensando a una riforma che rimetta lo sport diffuso al centro dell'azione dello Stato. Non possiamo continuare a vivere solo sullo sport olimpico. Nel Consiglio nazionale siedono anche 5 rappresentanti degli Enti di Promozione Sportiva, quelli che si occupano proprio dello sport diffuso. Cinque su 75». Se, però, andiamo a vedere il peso percentuale dei contributi Coni alle federazioni, appare evidente per alcune la stretta dipendenza da questi fondi per continuare ad esistere. «Questa è una riforma che doveva essere fatta svariati anni fa. Qui si difende il Coni come istituzione ma, negli anni, non si è difesa l'autonomia del Coni che derivava dall'autofinanziamento. È inevitabile che prima o poi ci si ponesse il problema con fondi di provenienza esclusivamente pubblica, dell'utilizzo degli stessi solo per le medaglie. Che sono importantissime per la promozione sportiva ma non possono rappresentarne l'unico obiettivo». Al Coni verranno destinati 40 milioni. Di fatto, lo si annienta. A parte la Federazione Calcio, le più importanti Federazioni hanno bilanci superiori a quello futuro del Coni. «Sono anni che diciamo che il Coni è un'anomalia solo italiana. All'estero non funziona così. Questa riforma va nel senso di riequilibrare il nostro sistema rispetto a un concetto di sport che non sia solo medaglie». Questa riforma ha molto le sembianze di un attacco diretto anche a Malagò, ritenuto troppo vicino al precedente Governo. «Quando si è candidato, Malagò ha annunciato una riforma epocale e profonda del sistema sportivo. Riuscire a scardinare il potere sedimentato da decenni è stato per lui un enorme successo. Cui però è seguita un'azione solo parziale di riforma». C'è il problema tecnico dell'Iva: la futura Sport e Salute, oggi Coni Servizi, è società per azioni che, quando versa soldi, lo fa con fattura e Iva. Come ne usciamo? «Questi sono aspetti tecnici che possono essere affrontati e risolti senza troppi problemi. È chiaro che in fase di discussione in Aula ci saranno aggiustamenti e limature, anche di tipo tecnico». Resta il fatto che con questa riforma, la gestione dei fondi per lo sport si sposta dal Coni, non controllato dalla politica, a Sport e Salute, emanazione diretta del Ministero delle Finanze. Dica la verità, se questa proposta l'avesse avanzata Renzi? «Onestamente, all'inizio mi sarei arrabbiato e opposto. Ma se Renzi l'avesse spiegata, come ha fatto Giorgetti, con la necessità di una pratica dello sport diffuso, come stile di vita, aspetto socio sanitario e elemento culturale, mi sarei messo a riflettere».