dopo ricatti e accuse
A Di Maio e Salvini serve la terapia di coppia
Molto spesso nelle storie della politica, che formano le vicende di popoli e di paesi, le questioni di relazioni personali, di amicizie o inimicizie, di empatie e di affinità o di contrapposizioni psicologiche giocano un ruolo più importante di quanto comunemente non si creda. La vicenda di questi due dioscuri del governo giallo-verde, Salvini e Di Maio, è apparsa fin dall’inizio uno dei leitmotiv, anche antropologici più ancora che strategici, di questa fase del Paese. A qualcuno questo governo appare come un governicchio ma ad altri appare un vero e proprio cambio di regime, come una vera e propria rivoluzione. Effettivamente tra i due le analogie sono modeste. Salvini viene da una Milano produttiva e da una storia di sinistra originariamente, passato attraverso il bossismo e il berlusconismo. Di Maio, detto da qualcuno il bibitaro con un tono quasi demitiano, è invece un ragazzo del Sud che non ha finito gli studi, ritrovatosi improvvisamente ad essere vicepresidente della Camera. Al di là di queste malevolenze, Di Maio fesso non è, e lo dimostra la capacità di aver cavalcato una realtà complessa e piuttosto enigmatica come il Movimento 5 Stelle. Certamente la fiducia del figlio di Casaleggio avrà avuto la sua importanza. Tant’è. I due si sono ritrovati a coabitare con una strategia che fin dall’inizio è apparsa chiara: Salvini si sarebbe occupato delle questioni che riguardavano la sicurezza pubblica, come l’immigrazione e la legittima difesa, che rappresenta -anche nei sondaggi- una delle faccende considerate più importanti dagli elettori italiani; a Di Maio sarebbe invece spettata la gestione del rapporto tra conti pubblici dello Stato sociale con il mitico salario di cittadinanza. Effettivamente la strategia salviniana poteva sembrare lucida ma strumentale, a lui spettava la parte su cui era più facile raccogliere consensi mentre agli altri le scelte demagogiche che probabilmente l’Europa e la Corte dei Conti non avrebbero retto. Questo per arrivare fino alle elezioni Europee per poi proseguire ognuno per la propria strada. In fondo, forse nell’assioma grillino c’era l’ipotesi, legata alla strategia del Movimento, di considerarsi come una sorta di opposizione istituzionale per sempre sine diae come il vecchio Pci togliattiano e poi berlingueriano. Insomma, da una parte il realismo di un buon governo liberal-conservatore di destra sovranista e nazionalista e dall’altra un’opposizione sempre sovranista ma con accenni assistenzialistici, statalistici e di progressiva richiesta dell’aumento della spesa pubblica. Questa poteva essere l’equazione di partenza ma ad un certo punto questo equilibrio pare essersi rotto. Quali sono state le vicende che hanno portato a questa, probabilmente temporanea, rottura visto che alla fine nessuno dei due potrà portare la sfida alle sue estreme conseguenze, salvo una catastrofe politica qualora non riuscissero a giungere alle agognate Europee che dovrebbero cambiare gli equilibri continentali? C’è ovviamente una differenza strutturale tra i due rispetto al loro partito: Salvini col ruolo di leader carismatico privo di oppositori interni e Di Maio come il semplice punto terminale di una complessa rete di equilibri interni che ha il suo vertice della Casaleggio Associati ma che ha una base elettorale che tutto sommato aveva votato il Movimento 5 Stelle pensando che fosse più a sinistra dell’odiato Renzi. Nessuno dei due ha interessi a Roma, quindi probabilmente l’equilibrio verrà recuperato. La grande sfida arriverà in Primavera, quando una certa lacerazione dei rapporti con l’Europa e con i conti pubblici non potrà che avverarsi se i popoli europei intendono proseguire nel lasciarsi governare dalle banche oppure intendono percorrere strade diverse in cui un’Europa delle nazioni, unica che vada dall’Atlantico agli Urali, riesca a presentare un nuovo orizzonte di senso per i popoli e il loro destino. In fondo, è quello che avrebbe voluto persino il generale De Gaulle insieme ai fondatori dell’Europa. Non a caso Salvini se ne intende e ha saputo coltivare bene il rapporto tra l’Ucraina e l’immenso continente euroasiatico e il rapporto con Putin che potrà rappresentare il futuro. Dall’altro lato i 5 Stelle sono tornati all’ombra dell’ambasciata americana. Anche tutto questo avrà la sua importanza. Insomma, tra Trump e Putin i due dioscuri sono costretti per il momento a rimanere insieme.