scontro sulla manovra
Di Maio mette alle corde Tria: "Un ministro serio i soldi li trova"
Passano i giorni, si succedono le riunioni, il nodo resta sempre lo stesso: quello delle coperture. Sulla tenuta dei conti pubblici vigila il ministro dell’Economia Giovanni Tria, bersaglio di un vero e proprio assedio dei partiti di governo che insistono per ottenere le risorse necessarie a realizzare le rispettive promesse elettorali. Di smentite di malumori e rassicurazioni, a taccuini aperti, se ne sono registrate tante. Ma che il malcontento ci sia lo confermano le dichiarazioni del leader pentastellato Luigi Di Maio che, pur assicurando che «nessuno ha chiesto le dimissioni del ministro Tria», chiede che «il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani che momentaneamente sono in grande difficoltà». Una stoccata mirata, che scarica sul titolare di via XX Settembre gran parte della responsabilità politica, oltre che economica, di numeri e contenuti della legge di Bilancio. «Gli italiani in difficoltà non possono più aspettare», incalza Di Maio, convinto che «lo Stato non li può più lasciare soli». E un ministro «serio», insinua, «i soldi li deve trovare». Intorno al leader si stringe il Movimento Cinque Stelle, piuttosto scontento della piega che sta prendendo la discussione economica e preoccupato dal ridimensionamento che rischia il reddito di cittadinanza, su cui ci si è giocati gran parte della credibilità elettorale. I feedback che stanno arrivando dai territori sono di sconcerto, se non di irritazione, il nervosismo cresce ed è per questo che i parlamentari pentastellati compattano le fila intorno a Di Maio, per far sentire il fiato sul collo al Mef. Il Carroccio non si discosta da questa linea: «L’esigenza che il vicepremier solleva è sacrosanta - osserva il presidente della commissione Finanze del Senato Alberto Bagnai - Bisogna cominciare a dare respiro alle famiglie con reddito più basso». Insomma, un pressing altissimo su Tria, tutelato sì dal Colle e dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma alle prese con la crescente difficoltà di arginare l’assalto combinato non solo del M5S ma anche della Lega al deficit. Se infatti l’economista vorrebbe bloccare l’asticella all’1,6%, i partiti guardano verso e oltre il 2%, una strategia che consentirebbe se non di realizzare almeno di avviare reddito, pensioni e quota 100, flat tax. L’idea di affidarsi a una spending review generale, come paventato al termine del vertice economico di lunedì, per «tagliare tutti i rami secchi», per dirla alla Di Maio, è più suggestiva che efficace, soprattutto perché i tempi stringono - il Def deve essere presentato entro il 27 settembre, la legge di bilancio entro metà ottobre - e precedenti esperienze come quella di Carlo Cottarelli non hanno poi portato nelle casse statali le somme sperate. All’appello mancano ancora circa 12 miliardi di euro, distribuiti come è ancora tutto da capire, perché gli scetticismi da una parte e dall’altra non mancano. Se la Lega non ha mai dimostrato entusiasmo per il reddito di cittadinanza, anche se «andrebbe a sostituire tutta una serie di misure precedenti, come il Rei, che andrebbero a confluire lì», come ha spiegato Bagnai, dal M5S traspare un certo imbarazzo per la pace fiscale che troppo facilmente può rischiare di passare nell’opinione pubblica come condono, anche se, certo, porterebbe nella colonna delle coperture una cifra che potenzialmente si aggira tra i 4 e i 6 miliardi di euro.