la proposta
L'asso del Cav è entrare in maggioranza
I due Mattei, Salvini e Renzi, sono convinti che la parabola politica di Berlusconi sia ormai vicina al termine e che la sorte di Forza Italia sia segnata: una parte fagocitata dalla Lega ed una parte risucchiata da un Pd nuovamente renziano punto di riferimento di un centro sinistra macroniano. Rispetto alla comune convinzione dei due Mattei sul destino del grande leader al tramonto, il gruppo dirigente di Forza Italia sembra segnato da un grave deficit di elaborazione politica. La maggioranza degli esponenti di punta del partito, quelli che si sono autogarantiti con candidature blindate in occasione delle ultime elezioni, sostengono ufficialmente la posizione ortodossa di Antonio Tajani, che colloca il partito all’opposizione e cerca, pur ribadendo la piena validità del centro destra, di accentuare il massimo della concorrenzialità nei confronti della Lega salviniana. Tajani e gli ortodossi pensano alle Europee e credono che l’alleanza di governo tra leghisti e grillini sia destinata ad esplodere in tempi rapidi. Per questo accentuano le critiche e la contestazione a Salvini ed insistono sul ruolo carismatico e leaderistico del Cavaliere. Nella speranza che l’arroccamento riesca ad evitare lo sfarinamento di Forza Italia e costringa Salvini ad ammettere che, in caso di rottura con il M5S, solo il centro destra gli consentirebbe di vincere le elezioni e conquistare la guida del governo. La posizione degli ortodossi sconta, però, il peccato originale compiuto da Berlusconi nell’aver dato via libera alla nascita del governo giallo-verde. Essere alleati nel centro destra a livello locale e conflittuali nella politica nazionale pone Forza Italia in una posizione di grande ambiguità. Che la rende incapace di incidere positivamente sull’azione di governo della Lega e la espone quotidianamente all’accusa di Salvini di essere alleato con il Pd all’opposizione. Di questa difficoltà sono testimoni i fermenti che sotto la coltre dell’ortodossia si muovono all’interno dei quadri intermedi, degli elettori e dei simpatizzanti forzisti. Fermenti, come quelli espressi dal Governatore della Liguria, Giovanni Toti, e dai giovani promotori della corrente “Forza Salvini”, che chiedono un atteggiamento diverso nei confronti dell’alleato leghista e sollecitano l’apertura di un dibattito per un rinnovamento radicale della linea politica e del gruppo dirigente. Ma quale potrebbe e dovrebbe essere l’atteggiamento diverso di Forza Italia nei confronti della Lega? Non potendo puntare totalmente sulla scelta dell’opposizione dura, che fatalmente provocherebbe contraccolpi nell’alleanza di centro destra nelle Regioni e nei comuni, Forza Italia può trovare un diverso e più proficuo ruolo assumendo una posizione radicalmente diversa rispetto alla Lega ed al cosiddetto governo del cambiamento. La definizione di questo ruolo passa fatalmente da una analisi del centro destra. Si tratta di una formula da difendere e rinforzare o di un’esperienza in via di esaurimento? Se la ventennale alleanza viene considerata in coma irreversibile non c’è altra strada che quella della rottura con la Lega e dell’opposizione dura ed intransigente. Ma questo, oltre a provocare una inevitabile deriva di parte di Forza Italia nell’area del Pd renziano, causerebbe contraccolpi devastanti nelle giunte regionali e comunali amministrate dall’alleanza che potrebbero accelerare al massimo il disegno di spartizione del mondo forzista perseguito dai due Mattei. Se invece la strada della rottura e dell’opposizione è preclusa, l’unica percorribile diventa quella di ricostruire l’unità del centro destra anche in Parlamento, assicurando a Salvini, riconosciuto da Berlusconi come il leader dello schieramento moderato, una forza di oltre il 40 per cento da far pesare negli equilibri e, soprattutto, negli indirizzi di governo. Non si tratta di ipotizzare un nuovo Pdl come propone Toti o di sottoporsi passivamente alla predominio (a volte prepotente) del Ministro dell’Interno. Più semplicemente, si tratta di entrare autonomamente in maggioranza infischiandosene delle pregiudiziali negative del M5s o delle perplessità degli stessi leghisti, per contribuire ad indirizzare il cambiamento non verso la decrescita e la paralisi del paese ma verso lo sviluppo ed il potenziamento ed il rilancio delle attività produttive. La tragedia di Genova è la spia inequivocabile dell’indirizzo da dare al cambiamento. Quello della ricostruzione di un paese che dalla fine degli anni ’80 ha bloccato il naturale adeguamento delle proprie infrastrutture. Una scelta del genere, ovviamente, non esclude affatto la possibilità di dissentire sugli atti non condivisi del governo. Al contrario, se affiancata da una azione di denuncia incessante del neo-maoismo informatico e della deriva verso la decrescita infelice di Grillo e Casaleggio, può far uscire Forza Italia dalla contraddizione di aver dato via libera a Salvini sul governo per poi essersi attestato all’opposizione insieme con il Pd. Il partito fondato da Berlusconi, che nasce proponendosi come fattore di cambiamento e modernizzazione rispetto al passato, rappresenta ancora un importante punto di riferimento per una parte del ceto medio e popolare oltre che di larghi settori dei ceti produttivi. Queste componenti della società temono che nel medio periodo il governo diventi sempre più a guida e continuano a sperare che Forza Italia possa svolgere una funzione di riequilibrio tra il sovranismo leghista e l’egualitarismo pauperista. Salvini compirebbe un clamoroso errore se volesse ignorare queste realtà o pensare di rappresentarle tutte rimanendo fermo ad una identità che non ha tratti liberali, riformisti, popolari. Forza Italia nella maggioranza darebbe rappresentanza a questi ceti, aumenterebbe la forza contrattuale di Salvini nei confronti di Di Maio e darebbe ai berlusconiani un ruolo di coscienza critica del cambiamento che renderebbe più difficile l’applicazione del piano dei due Mattei. Sul piano concreto, poi, l’ingresso di Forza Italia in maggioranza, risolverebbe il caso Foa sbloccando la Rai e favorendone un cambiamento in chiave necessariamente pluralista. Darebbe maggior peso alla politica industriale chiesta dai ceti produttivi e fondata non sul blocco ma sul rilancio delle grandi infrastrutture. Ed, infine, consentirebbe di porre con forza quella riforma della giustizia che Salvini ha scoperto oggi essere una esigenza prioritaria per il futuro del paese ma che per i liberali ed i garantisti di Forza Italia costituisce da sempre l’obbiettivo indispensabile per far uscire la società italiana dalla paralisi seguita alla rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite. Certo, per essere coscienza critica ci vuole coscienza e capacità di analisi critica. Cioè quelle caratteristiche che Antonio Tajani possiede ma che, purtroppo, sono tragicamente assenti nei “blindati” e negli “autogarantiti”. Se dunque Tajani vuole svolgere fino in fondo il suo difficile compito, deve promuovere un radicale rinnovamento del gruppo dirigente favorendo il confronto e la discussione a tutti i livelli in un partito che se non torna ad essere movimento è condannato all’esaurimento. L’impresa non è facile. Le discussioni ed i dibattiti nei partiti leaderistici sono visti (soprattutto dai cortigiani del leader) come fattori di disgregazione. Ma il confronto dialettico è vita. La chiusura è eutanasia. O meglio, la preparazione per il funerale indiano del Capo, quello in cui nella tomba, a far compagnia alle spoglie del condottiero, finiscono mogli, cavalli e famigli.