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L'ovazione a Matteo Salvini e le esequie del Pd

Alessandro Giuli
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A memoria d'uomo non si ricordano ovazioni così commosse verso i governanti, in un funerale di Stato. Non come quella ricevuta ieri da Matteo Salvini e Luigi Di Maio nel padiglione blu della Fiera di Genova, dove è andata in scena la liturgia del commiato per le vittime del Ponte Morandi, per l'innocenza strappata alla vita dall'incuria e dall'indifferenza.Colpe imperdonabili che il popolo sa riconoscere ma in generale attribuisce a chi, per merito o per necessità, ricopre ruoli apicali nell'amministrazione dell'Italia. Da ieri qualcosa sembra davvero cambiato nel sentimento profondo espresso da una città piegata ma consapevole: i fischi non sono mancati, durante la consueta e obbligata sfilata di autorità pubbliche, ma sono stati diretti con precisione verso il segretario del Partito democratico, lo stralunato Maurizio Martina. Non era scontato che andasse in questo modo e anzi più d'uno fra gli osservatori si attendeva un primo e crudo bagno di realtà emotiva per i leader della strana maggioranza gialloverde. I titolisti dei giornali antipatizzanti (definirli d'opposizione è troppo, in mancanza di opposizioni degne di tal nome) avevano già il colpo in canna per corredare editoriali pensosi dal vago rancore: i populisti respinti dal popolo, così s'infrange una luna di miele durata fin troppo… Nient'affatto, ed è su questa capacità di selezione popolare che adesso sarebbe utile interrogarsi. Troppo acerbi nel loro incarico, Salvini e Di Maio non hanno (ancora?) torti o peccati da scontare perfino agli occhi arrossati dalla disperazione genovese; magari eccedono in pose muscolari novecentesche oppure inclinano all'ambiguità per nascondere le incertezze. Eppure gli applausi sono tutti per loro, destinatari di una fiducia che deriva dal nitidissimo contrasto rispetto agli altri, agli sconfitti, ai rabbiosi esponenti d'un mondo che agonizza nell'ipocrisia. È il mondo che da subito ha preferito cavillare sulla possibilità di revocare la concessione alle Autostrade piuttosto che partecipare allo sdegno maggioritario per il silenzio arrogante dei Benetton. È il mondo che ha accusato di sciacallaggio leghisti e pentastellati insorti disordinatamente, ma nel verso giusto, contro la causa efficiente della strage del Morandi: inadempienza, culto del profitto, collateralismo affaristico tra pubblico e privato. È insomma il mondo effigiato dall'indesiderato Martina, giovane capo e provvisorio, perciò semi incolpevole, di una fazione politica percepita ormai come nemica del popolo. Non del popolo sovrano, che ancora non esiste, ma di quell'ente collettivo dotato di memoria e che non ha bisogno di capri espiatori per esigere a buon diritto un gesto di solidarietà e riconciliazione. Un tempo queste compensazioni simboliche arrivavano proprio da sinistra: da sindacati, associazioni e altri corpi intermedi modellati come blocchi sociali da uno o più partiti radicati nelle profondità comunitarie. Oggi quella sinistra non c'è più, o quasi, e quel che ne rimane s'è asserragliato nell'illusione di detenere ancora la palma della verità, della fredda competenza scientifica opposta ai sussulti irrazionali degli elettori in fuga verso i lidi del populismo. Un capolavoro d'insipienza alimentato da un'allucinata aggressività e dall'insofferenza perfino epidermica verso i nuovi governanti. Che saranno anche dei furbastri come taluni vogliono, tuttavia non possono apparire come i sopravvissuti di un consociativismo predatorio al servizio di società quotate in Borsa. Ciò che invece si può dire, finanche a torto, di chi li ha preceduti e di chi, fra costoro, verrà ricordato per la svendita dell'interesse nazionale, per l'opaca messa all'incanto della sicurezza pubblica, per la sfrenata ubriacatura delle privatizzazioni a sfondo familiare e monopolistico. Nella circostanza infausta, non si trattava di avere più o meno riguardo per la dinastia agiata e cosmopolita che si è arricchita con la gestione delle nostre infrastrutture autostradali – i soliti Benetton –, alla quale è comunque dovuto un atteggiamento equanime pur nella fermezza dell'indagine sul disastro e della condanna morale per un contegno ingiustificato. No, qui si tratta di saper mostrare la cognizione del dolore e la sintonia elementare con gli effetti di una strage nella quale sono morti anche numerosi giovani stranieri. Di questa consapevolezza, a sinistra, sembra essersi smarrita la traccia fondamentale: dissolta nei fumi salottieri che annebbiano gli inquilini del privilegio.

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