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Di Battista si crede il nuovo Kerouac

Il film "sulla strada" americana. A parte un po' di sana retorica grillina, non esiste motivo per guardarlo

Pietro De Leo
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Lezione numero uno: più grande è l' attesa, più lo è il rischio che all' atto pratico si ammosci (l'attenzione). Lezione numero due: il principio di cui sopra è perfettamente applicabile alla prima puntata del reportage americano di Di Battista. Per carità, onorevole l'intenzione del viaggio, graziosa l'immagine di una famiglia, due giovani genitori (lui e la compagna Sahra) e del bambino appena nato (il piccolo Andrea) che si mettono in viaggio verso dall' altra parte del mondo. E però ci ha fatto due scatole così da mesi, sul parte o non parte, sul me ne andrò in America a fare reportage, e sul fatto che avrebbe viaggiato sui mezzi pubblici, che almeno uno si sarebbe aspettato qualcosa di meno scontato. E invece, questa prima puntata di ventisei minuti e poco più de «L' Orizzonte Lontano», rilasciata ieri sulla piattaforma Loft, è una piccola summa di retorica dibattistiana, ossia: che guevarismo di quartiere buttato là, il messaggio (recepito, sì, ora anche basta) del mollo tutto e me ne vado, qualche punta pauperista, un lieve cazzeggiamento introspettivo equal che acuto di solidarismo sull'immigrazione ma con juicio, perché sono pur sempre gli amici della Lega. Questi minuti, dunque, iniziano in profondità: «Può sembrare strano avere voglia di mollare una carriera politica avviata e scegliere di partire. In realtà sapevo che questo giorno sarebbe arrivato... SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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