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Di Maio: "Al posto di Savona fatti altri nomi" ma il Quirinale smentisce. E Salvini non lo sa

Silvia Sfregola
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«Avevo fatto nomi alternativi a Savona, come Bagnai o Siri, nomi della Lega peraltro, ma non andavamo bene perché nel loro passato avevano espresso posizioni critiche sull'Ue e mi è stato detto che per questo le agenzie di rating o la Germania non le gradisce». Il leader del M5S Luigi Di Maio ospite a Pomeriggio Cinque racconta di aver proposto altri nomi per uscire dall'empasse e formare il governo. Ma, subito dopo, il Quirinale ha smentito con una nota le affermazioni del leader dei grillini: «Non risponde a verità la circostanza, riferita dall'on. Luigi Di Maio a Pomeriggio 5, che al presidente della Repubblica siano stati fatti i nomi di Bagnai e Siri come ministri dell'Economia». Subito dopo nel salotto della d'Urso è comparso anche il leader della Lega, Matteo Salvini che interpellato in merito ha sottolineato di non saperne nulla: «Non lo so, non c'ero» ha risposto. «Ci hanno bloccato una volta, ma la seconda volta, più forti e con più voti ce la faremo... Mattarella sì, Mattarella no» annuncia da Canale 5  il segretario leghista che non si unisce alla richiesta di impeachment a Sergio Mattarella spiegando che non ha ingaggiato una «guerra» con il capo dello Stato.  Nel giorno dell'incarico a Carlo Cottarelli, la Lega chiede che si vada a votare il prima possibile. La data su cui si ragiona è entro le prime due settimane di settembre. E, naturalmente, il tema che si pone è come presentarsi: se ancora nella formula della coalizione di centrodestra, con FI e Fratelli d'Italia, o con il nuovo "dialogante", M5s. Nell'incontro con il capo politico dei pentastellati, Salvini concorda che i due partiti attueranno il contratto di governo nelle commissioni parlamentari (che ancora devono costituirsi e che probabilmente proveranno a "spartirsi"). Entrambi i leader annunciano poi iniziative di piazza "gemelle" in occasione del 2 giugno. Il giorno dopo l'interruzione sul nascere del governo del "cambiamento", i due protagonisti sembrano più vicini che lontani. Sia Di Maio sia Salvini tengono la porta aperta e rispondono con un generico "vedremo" alle domande sulle prospettive di alleanze future. Anche se al momento la coalizione di centrodestra tiene: la Lega, per esempio, si presenterà alle amministrative del 10 giugno con accordi strutturati con FI e FdI in quasi tutti i Comuni sopra i 15mila abitanti al Nord. Mentre i Cinque stelle sembrano voler confermare la linea del 'nò ad alleanze organiche prima del voto. Il fatto che Silvio Berlusconi abbia annunciato che parere «negativo» alla fiducia al «governo tecnico» di Cottarelli, poi, toglie pretesti anche, tra gli alleati, ai più desiderosi di sfilarsi. Chiaramente se dovessero presentarsi nuovamente alle politiche in coalizione, il potere di autonomia del Cavaliere su candidature, collegi e programmi - si fa notare in via Bellerio - sarebbe molto ridimensionato. Salvini poi è particolarmente duro nei confronti di chi, in FI, nelle ultime settimane ha «vomitato contro gli alleati» mentre lui ha «sempre tenuto salda» la coalizione. Il capo leghista sostiene poi che le prossime politiche saranno un referendum tra «chi mette al centro l'Italia» e chi «sta dalla parte dell'Europa», sottolineando le divergenze con il partito di Berlusconi sui temi europei. «Se in FI dicono Viva l'Europa, viva la Merkel, come ieri, la situazione si fa difficile», minaccia. Salvini poi ribadisce di essere disponibile a modificare la legge elettorale, introducendo un premio di maggioranza che dia «un voto in più» a chi vince. Non precisa se si tratta di un premio alla lista, al partito o alla coalizione. Ma spiega che intende provare a cambiarla insieme al Movimento 5 stelle. Non è esclusa neanche l'ipotesi, la più citata al momento tra i leghisti, che il partito con l'Alberto da Giussano nel simbolo corra da solo per poi decidere eventuali alleanze in un secondo tempo per magari riproporre uno scenario di matrimonio con i 5 stelle, come stavolta, nel post voto. Domani parola ai gruppi e al consiglio federale della Lega, convocato a Roma per la prima volta nella storia del Movimento.

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