governo

Di Maio-Salvini contro il Presidente: "Impeachment e poi voto"

Silvia Sfregola

Le ire di Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono concentrate verso un’unica persona: Sergio Mattarella. È il presidente della Repubblica, secondo il capo politico del Movimento 5 Stelle e il segretario federale della Lega, l’ostacolo alla nascita del «governo del cambiamento», teleguidato dai poteri forti, «agenzie di rating e lobby finanziarie internazionali». Nessuno dei due leader più voglia di continuare a tirare il freno a mano istituzionale, ormai lo scontro con il Colle è aperto e a livelli talmente alti da aver già schierato tutta l’artiglieria della comunicazione: dai social alle tv, alle piazze. Un ping pong di dichiarazioni infuocate, lanciate all’indirizzo del Quirinale, culminate con l’annuncio di Di Maio ai microfoni della Rai: «Prima attiviamo l’articolo 90 e poi torniamo alle urne». Tecnicamente, si tratta della messa in stato di accusa del capo dello Stato da parte del Parlamento, possibilità che al momento non sembra però trovare sponda concreta nel Carroccio: troppo presto per parlare di impeachment, anche se nel caso Fratelli d’Italia ha già fatto sapere di essere disponibile ad appoggiare la richiesta. Questo è l’unico passaggio nel quale Salvini e Di Maio non hanno espresso gli stessi concetti, quasi se si fossero virtualmente passati il microfono per tutto il pomeriggio, per leggere un discorso che scritto dalla stessa mano. Il leader dei Cinquestelle chiede di «parlamentarizzare la crisi» in Italia, spiegando che«abbiamo un grande problema, si chiama democrazia» perché «le agenzie di rating in tutta Europa erano preoccupate per un uomo che andava a fare il ministro dell’Economia, e allora diciamoci che è inutile andare a votare, visto che i governi li decidono sempre gli stessi». Il giovane capo politico pentastellato è sembrato assumere toni minacciosi quando dal video diffuso via Facebook ha fatto sapere: «Non finisce qui». Il segretario leghista invece si è definito «incazzatissimo», tant’è vero che dal palco di Terni e dai canali social ha lanciato continui missili terra-aria verso Roma. Un cannoneggiamento culminato con una dichiarazione: «Mi sto convincendo che non siamo un paese libero, siamo un paese a sovranità limitata». Un’accusa grave, accompagnata da una promessa: «Non chinerò mai la testa davanti alle richieste di chi non risponde al bene dei cittadini italiani», perché «l’Italia non è una colonia, non siamo schiavi di tedeschi o francesi, dello spread o della finanza». Dunque al grido leghista «mai più servi di nessuno», si può dire (ufficiosamente) che la nuova campagna elettorale è già iniziata. Se mai sia finita.