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Governo, scontro su Savona. L'ultimatum di Salvini: "Non tratto più"

Il leader della Lega Matteo Salvini

Silvia Sfregola
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"Mi rifiuto di andare avanti ancora per giorni con le trattative, o siamo in condizioni di lavorare o qualcuno se ne prenderà la responsabilità". Quello tra Matteo Salvini e il Quirinale può essere considerato a tutti gli effetti un 'braccio di ferrò, con tanto di ultimatum del leghista al capo dello Stato. Ormai l'oggetto del contendere è chiarissimo: il segretario federale vuole Paolo Savona al ministero dell'Economia, mentre il presidente della Repubblica continua a chiedere una soluzione alternativa all'economista con spiccate ideologie "no euro". Il muro contro muro che sta animando le ultime, fibrillanti ore della fase politica italiana rischia seriamente di travolgere gli accordi di maggioranza con il Movimento 5 Stelle, trascinando con sé non solo il famoso "contratto", ma tutto il governo. Anche il gruppo dirigente di via Bellerio sposa la linea della resistenza, schierandosi al fianco del suo leader, che annuncia: la lista dei ministri del partito è pronta e sarà consegnata nelle mani del premier incaricato, Giuseppe Conte. In questo modo il neo senatore lancia un segnale inequivocabile al Colle: "Non faccio una questione di nomi e cognomi, ma di rispetto del voto che gli italiani hanno espresso il 4 marzo". In poche parole, chi ha ottenuto i consensi delle urne hanno il diritto di esprimere le proprie preferenze sulla squadra di governo, al di là delle prerogative conferite dalla Costituzione al presidente della Repubblica. Salvini lamenta di averne fatti già troppi di passi indietro, dunque non farà un altro sulla candidatura di Savona: "Come in Italia nessuno ha mai eccepito su un ministro belga, tedesco o francese, è evidente che i ministri italiani non devono necessariamente avere il gradimento dei tedeschi, dei francesi o di chiunque altro". In questo esercizio di forza politica, a trovarsi nella condizione più scomoda (e forse imbarazzante) sono i Cinquestelle. Ufficialmente schierati al fianco del partner politico, ma senza alcuna voglia di rompere l'ottimo rapporto con Mattarella, costruito nella scorsa legislatura e rinsaldato in maniera ancora più decisa in questi oltre 80 giorni di crisi istituzionale. Luigi Di Maio e i suoi vedono talmente vicino il traguardo, da considerare un 'peccato mortalè gettare alle ortiche tutta la fatica fatta per arrivarci, costringendo il Paese a nuove elezioni senza un motivo veramente valido. Ecco perché finora i cannoni della comunicazione sono stati tenuti in deposito, anche se i messaggi "giusti", di vicinanza a Salvini, sono comunque circolati. Senza per questo indebolire la figura del presidente del Consiglio incaricato. Conte, infatti, rimane impassibile ma non immobile, proseguendo nel lavoro di preparazione della squadra nella sala del Governo, messa a sua disposizione dalla Camera dei deputati. Tra i suoi incontri spicca quello con l'ex direttore degli Affari politici della Farnesina, Luca Giansanti, che diverse fonti parlamentari suggeriscono essere ora in pole position per il ruolo di ministro degli Esteri, dicastero per il quale sembrava 'intoccabilè Giampiero Massolo. Le voci di Palazzo indicano anche un possibile rimescolamento di un altro possibile posto chiave, quello degli Interni, riservato ormai da tempo proprio a Salvini. I rumors spiegano pure che si potrebbe trattare di una mera strategia politica in attesa che si riducano le asprezze tra il segretario leghista e il capo dello Stato. Partita nella quale il leader di via Bellerio sembra aver trovato due alleati inaspettati. Da un lato Alessandro Di Battista, che ritiene "inaccettabili i veti del Quirinale su Savona», concedendo gli onori delle armi all'avversario: "Di lui si può dire tutto, ma sono anni che veramente si è impegnato in maniera incredibile". Dall'altro il commissario europeo all'Economia, Pierre Moscovici, per il quale «gli affari degli italiani devono essere decisi a Roma». In soldoni, anche se al Mef arrivasse l'ex ministro dell'Industria del governo Ciampi, "parlerò con l'interlocutore che mi daranno, qualunque esso sia". Un endorsement di peso per Salvini, recapitato con tanto di ceralacca direttamente dalla 'odiatà Bruxelles, da appuntarsi al petto come una medaglia. Possibilmente da indossare al Colle, il presto possibile: "La mia speranza è che domani finalmente si parta".

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