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Fico incontra il Pd. Martina apre e il Pd si spacca

Carlo Antini
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È tutta una battaglia sul filo dei numeri e del tempo. L'apertura ufficiale dei Dem al M5S non c'è ancora, ma potrebbe arrivare presto: la decisione è delegata alla direzione che, se il Colle concederà altro tempo, cadrà entro l'inizio della prossima settimana. Lì si vedrà se la maggioranza renziana - contraria all'accordo con i grillini - esiste ancora e di conseguenza si capirà anche su quanti voti Dem potrà contare in aula il M5S. A partire da un dato di fatto: in Senato, dove c'è il più folto numero di renziani, se anche il Pd votasse compatto insieme ai Cinquestelle e a LeU, si arriverebbe a 169 voti, appena 8 in più della maggioranza assoluta. L'effetto per ora ottenuto da Luigi Di Maio dopo la chiusura del forno con la Lega è il rischio spaccatura nel Partito democratico, con Maurizio Martina che cerca di mediare fra le parti. Matteo Renzi è assediato da quanti nel Pd si dicono ormai apertamente favorevoli a tentare un governo con il M5S. Sono usciti allo scoperto i dirigenti locali, da Nicola Zingaretti a Sergio Chiamparino passando per Beppe Sala e Leoluca Orlando, ma anche parlamentari di peso come Piero Fassino - l'ex pontiere del dialogo poi naufragato con la sinistra - e con qualche sfumatura il veltroniano Walter Verini. L'ex segretario dà la linea da Palazzo Giustiniani che è e resta quella dell'opposizione. Su Twitter i parlamentari renziani, ma anche i semplici elettori, che vogliono smarcarsi dall'apertura fanno rimbalzare l'hashtag 'senza di mè coniato dopo la sconfitta elettorale proprio da Renzi per escludere l'inciucio con il M5S. In mezzo ai due estremi, semplificati da Dario Franceschini da un lato e il segretario uscente dall'altro, c'è la zona grigia di quanti vogliono il confronto con i Cinquestelle senza però ipotecare il risultato. Tra questi anche Graziano Delrio e Marianna Madia. La convinzione comune in ogni caso resta che la strada di un'intesa non è facile e, se dovesse fallire, la strada sarebbe una soluzione d'emergenza del Capo dello Stato. Posizione preferita allo stallo dal ministro Carlo Calenda che comunque vorrebbe il Pd all'opposizione. L'unica certezza, in mezzo a questa nebbia, è che il Pd finirà per contarsi e lo farà nella prossima direzione dove, su 209 componenti, i renziani dovrebbero essere più di 120. Intanto fioccano le richieste di altre consultazioni a più livelli, c'è chi come Sandra Zampa - membro della direzione vicina a Romano Prodi (Prodi che Martina ha incontrato la scorsa settimana) - plaude a Maurizio Martina e chiede però il referendum tra gli iscritti, e chi come Stefano Ceccanti sottolinea che devono votare nelle assemblee dei gruppi anche i parlamentari, visto che saranno loro a dare la fiducia. Qualunque decisione verrà presa dalla direzione, il reggente è favorevole a sondare gli iscritti, ipotesi sostenuta dallo stesso Graziano Delrio. Le cosiddette "sfumature" o divergenze di vedute nel Pd ci sono e sono emerse anche nel corso del confronto con la delegazione prima delle consultazioni, ma - sottolineano dal Nazareno - alla fine ciò che Martina ha detto a Roberto Fico è stato concordato e sostenuto unanimemente da tutta la delegazione, neanche un accenno al futuro premier. In particolare Matteo Orfini e Andrea Marcucci hanno spinto il reggente a non accontentarsi di presentare a Fico soltanto le tre proposte concordate negli ultimi giorni, ma tutto il programma Pd con i cento punti nei quali sostanzialmente si riconosce anche l'operato del Governo Renzi-Gentiloni. E proprio sui punti del programma si concentrerà il confronto tra M5S-Pd speculare a quello del 2013 che vide infelice protagonista Pier Luigi Bersani, proprio lui che oggi dalle fila di Liberi e Uguali sostiene ancora la necessità che il Pd accetti la sfida del Movimento che fu di Grillo.

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