Governo, Salvini torna dal Cav. Di Maio ci riprova col Pd
Un passo avanti e due indietro. Una dichiarazione ed una replica. Il valzer della politica prosegue mentre l'Italia aspetta un governo. Quando nacque il noto ballo fu ritenuto volgare perché i ballerini danzavano a stretto contatto l'uno con l'altra in una sorta di abbraccio. Proprio ciò che, volenti o nolenti, i tre schieramenti che dominano la scena nostrana dovranno fare per evitare un ritorno alle urne. Chi torna a ballare insieme dopo le scaramucce in stile fidanzati gelosi dei giorni scorsi è il centrodestra. Salvini, Berlusconi e Meloni, in stretto ordine di voti presi nelle urne, annunciano che al secondo round delle consultazioni si presenteranno insieme davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Una proposta lanciata dal leader della Lega, Matteo Salvini, ed accettata, anche se con sfumature diverse, dal resto dello schieramento. La più entusiasta è Giorgia Meloni che reclama anche la genesi dell'idea definendola "la proposta di Fratelli d'Italia". Più cauto invece Silvio Berlusconi che prima si prende qualche ora per riflettere poi dà il suo benestare con una nota stringata. "Alle prossime consultazioni il centrodestra si presenterà unito con Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni", scrive l'ex Cav. Una mossa che è come fumo negli occhi per il Movimento 5 Stelle e la sua volontà di dividere i due Dioscuri del centrodestra. "Gli interlocutori sono la Lega e il Partito Democratico e ci interessano i contenuti", continuano a ripetere come un mantra i pentastellati. "Penso che in Forza Italia potrebbero fare un grande sforzo di responsabilità e permettere a Salvini di fare un governo di cambiamento, insieme al Movimento Cinque Stelle", argomenta il capogruppo al Senato, Danilo Toninelli. Questa volta le risposte che arrivano sono univoche. "I 5 milioni di voti di Forza Italia non sono né infetti né maleodoranti. Di Maio non può chiudere la porta in faccia", dichiara Giancarlo Giorgetti, capogruppo Lega alla Camera e uomo molto stimato anche dal capo politico del M5S. Parole a cui fanno eco quelle di Giovanni Toti, governatore forzista della Liguria vicino a Matteo Salvini: "con la buona volontà è possibile trovare un programma minimo di governo tra centrodestra e M5s", spiega. Ligi alla loro strategia dei "due forni" di andreottiana memoria i Cinque Stelle proseguono pure nel tendere la mano al Pd, anche se a modo loro. Da un lato, sempre per bocca di Danilo Toninelli, il M5S chiede "un atto di responsabilità" al reggente del Partito Democratico, Maurizio Martina, dall'altro bolla i dem come colpevoli "del fallimento delle politiche degli ultimi cinque anni e di aver approvato una legge elettorale che ha portato a questo stato di caos". In realtà in casa Pd, però, i problemi sono ben altri e tutti interni. Se sulla linea del 'no' al governo con i Cinque Stelle tutti sono più o meno univoci, la battaglia per la guida del partito è invece ormai senza quartiere. Andrea Orlando se la prende direttamente con Renzi. "Se ritiene che la colpa della sconfitta elettorale non sia la sua allora ritiri le dimissioni altrimenti consenta a chi pro-tempore ha avuto l'incarico di poterlo esercitare", dice senza troppi giri di parole il ministro della Giustizia. L'ex premier preferisce non rispondere in prima persona ed attendere l'assemblea del 21 aprile per la resa dei conti. Per quel giorno il gran ballo del governo potrebbe aver trovato la sua "étoile", oppure no.