Rally, bici e insulti. Il film (sul web) della campagna elettorale
Tenzoni e tensioni. Personalismi e filantropia. Santi ed eroi. Una crociata alla conquista del consenso. Per alcuni, più navigati, si tratta ormai di sport elettorale; per altri di spot, essendo la prima vera volta alla ricerca di una posizione istituzionale importante. Lo spettacolo della campagna elettorale. Un lungometraggio all'italiana, un video di propaganda, tra la scanzonatezza di Sandra e Raimondo, e l'assedio alle Termopili. Nell'epoca del culto del capo, della politica take away, dei tweet e dei talk show, la virtualità è la riserva di caccia per il consenso. La politica virtuale, dei video, delle grafiche, dei post, dei retweet, è un film perfetto dal titolo L'alba dei morti votanti. Ecco allora un piccolo viaggio semiserio tra i più gustosi spunti elettorali da web, ormai a pieno titolo estensione della democrazia reale. PARISI VAL BENE UN CAFFÈ Che il problema sia il sistema sanitario del Lazio, o lo sfidante Zingaretti – come fossero solo in due alla corsa della Regione Lazio – che non vuole accettare un confronto pubblico all'americana; che sia la pressione fiscale, o altro, non importa: Stefano Parisi berrà un caffè. Con la sua scelta Berlusconi ha parlato chiaro a tutti: al Cavaliere nero, nun je devi cacà er Lazio! Cinico, poetico, senza giacca, Clint Eastwood de noantri sa mantenere una calma comunicativa tale che ad ogni apparizione c'è sempre di mezzo un amichevole caffè, refrain di una vita quotidiana da mostrare per mantenere la giusta dose di familiarità con gli elettori. Succo bollente di una calma frontale che, però, poi si trasforma in agonismo politico bello e buono. E diretto. Nella serie video elettorale Un caffè con Parisi si nota facilmente la scelta tattica di un recupero veloce del consenso basato sull' “aggressione” , comunicativa e politica, s'intende, dell'avversario, a dimostrazione che tutti quei caffè non erano decaffeinati. Parisi essendo poco conosciuto al pubblico laziale, già provato da questo tentennamento politico che lo ha individuato all'ultimo secondo come candidato ideale per il Lazio, deve dimostrare sin da subito carisma e chiarezza. Dalla Milano da bere, di cui è city manager, al Lazio da web. Visti i sondaggi non fatichiamo a capire quale sarà il suo problema principale: la fine del caffè, di certo non la vittoria alla Regione... SGARBI VS DI MAIO Colossale. Pura pornografia estetica. Stiamo parlando della sfida frontale tra Vittorio Sgarbi e Luigi Di Maio, uno dei colossal del cinema elettorale di quest'anno. La trama è semplice: Vittorio Sgarbi, candidato in sostegno del centrodestra con la propria lista “Rinascimento” insulta Luigi Di Maio, arcinoto e plastico candidato Premier del Movimento 5 Stelle. Punto. Un botta e risposta tra il critico d'arte e l'ex steward dello stadio San Paolo che lascia confusi e felici, parafrasando la piccola catanese Carmen Consoli, tanta è la mascolinità dell'affronto sgarbiano. Con lo spirito di Ettore Fieramosca, tra l'Émile Zola del J'accuse e il Funari dei bei tempi. Come quando, virile e seminudo, appena uscito dalla doccia con l'asciugamano sulle spalle, degno del miglior peso medio alla fine di un allenamento, il Vittorio nazionale si scaglia in una sequela di (poco) amichevoli riduzioni di stima nei confronti di Di Maio che inizia con «piccolo scarafaggio, piccolo ignorante». Per molti giustizia è fatta, per altri è solo un'esagerazione. Il resto è letteratura, storia, e pure geografia, visto che non importa dove si trovi, che sia un castello piemontese, o in autostrada, Sgarbi troverà Di Maio e lo distruggerà. I RALLY DI DI MAIO Sembra stiano portando la nonna alla visita a Roma, partendo da Rieti. Una passeggiata piacevole con la famiglia, due chiacchiere e una canzone. Acqua e sapone. Ogni tanto la sosta all'Autogrill. Così Luigi Di Maio, quando non è sotto il fuoco di fila di Vittorio Sgarbi che dal promontorio della cultura e del buon senso spara con un obice da 280 mm, fa la sua campagna elettorale. Un po' meno in stile Dibba, motorini, zattere, barchette di fiammiferi, purché si giri il Paese e si vada a raccogliere l'applauso estasiato, anche troppo, della folla. Di Maio è in pieno Rally per l'Italia, quasi sempre riversato su video e postato. Più di 20mila km percorsi dalla macchinina telecomandata di Beppe Grillo, anche se i rapporti ora non sono dei migliori, in pieno scandalo “restituzione dei bonifici” da parte dei parlamentari grillini. Un'altra allegra gita. Luigi è sempre in gita, con lo zainetto e il panino con la frittata, un'incrollabile fiducia nei principi del Movimento, nel suo popolo eletto che lo eleggerà a sua volta e in un sorriso ingenuo ma sincero. Ora tocca all'Italia, dopo gli Stati Uniti e Londra. E siccome i vecchi partiti sono una zavorra, a Giggino non rimane che volare. Di Maio in peggio. CASAPOUND METTE LE SCARPE DA CORSA Il movimento della Tartaruga c'è e vuole confrontarsi sul tavolo della democrazia, anziché su quello degli stereotipi, come preannunciato da Simone Di Stefano, candidato Premier di CPI, alla presentazione ufficiale del programma, qualche giorno fa alla Camera dei Deputati. Più di cento sedi aperte in tutte Italia, silenzio saggio e granitico durante i vergognosi fatti di Macerata e Piacenza, migliaia di firme necessarie per la candidatura del movimento raccolte, ben più di quelle necessarie, presenza in tutti i collegi d'Italia. Casa Pound cresce e va di corsa come nel video elettorale di Mauro Antonini, candidato presidente alla Regione Lazio delle “tartarughe”. Un po' Ligabue nell'ode a Gabriele Oriali, “Una vita da mediano”, un po' inviato giornalistico in trincea, la linea comunicativa elettorale di Antonini e di Casa Pound, non solo dedicata alla Regione, è schietta, nitida, sincera, ed esprime continuità, per questo non artefatta, con le precedenti attività del movimento, specie in periferia, tra gli ultimi, nella volontà della “prossimità”, laddove la sovranità, come legittimo possesso della propria terra, manca più forte, ma capace di parlare maturamente a tutte le categorie del Paese. Una campagna comunicativa “contro”, ma che differenza dei navigati campioni della demagogia, e di tante altre realtà partitiche, ha un'offerta alternativa concreta e complessa, ben definibile, come testimoniato anche dal recente sondaggio dell' Istituto Cattaneo di Bologna. MELONI D'ITALIA Fratelli d'Italia è in campo. E si sente. Perché si sente Giorgia Meloni. Meloni è ovunque ed è la luce del partito, forse troppo concentrato sulla sua immagine. E ovunque richiama tutti sugli attenti. Una comunicazione efficace perché essenziale, cromaticamente riconoscibile e assimilabile a FdI, nonché al trascorso aennino, capace di convogliare già al primo colpo d'occhio l'elettorato. Mista, tra grafiche d'impatto e slogan, e video brevi, tratti da interventi di Giorgia Meloni in tv. Non c'è spazio per l'immaginazione, anche se talvolta si respira un'aria troppo divina. Ogni presa di posizione è chiara e lanciata sul web, dalle pensioni, all'immigrazione, passando per i temi più classici di un centrodestra dal profumo conservatore. Culto del capo, carisma comunicativo, quel filo di retorica nazionale che fa più destra e meno centro – come ne “L'appello ai patrioti” -. Chissà che la Meloni, al netto degli accordi e del 4 marzo non possa essere la nuova Duce d'Italia? Eja Eja Garbatella! VOTA L'UNIVERSO. VOTA PD Matteo risponde (ricorderete…). Matteo ascolta. Matteo viene canonizzato. Matteo celebra. Matteo va in bicicletta, ciclista elettorale – come «a Firenze prima di un'iniziativa elettorale che lo ha portato a percorrere in bicicletta la pista pedonale che unisce Firenze a Signa sulla riva destra dell'Arno», come riporta Repubblica -. Matteo c'è. A volte Guevara, a volte no. Poteva mancare, forse, il leader maximo del centro sinistra italiano e il suo partito? Certo che no. Famose le grafiche essenziali, lineari che invitano a votare PD per i più nobili scopi, come quello di scegliere la scienza, scegliendo Partito Democratico («concepito come una specie di ricatto morale: o stai col Pd, o stai contro la scienza – come afferma Massimo Sandal su Wired - sembra fatto apposta per metterti in imbarazzo, se non fosse francamente comico. Come ha detto qualche ricercatore “quando sequenzio un gene, sto forse lavorando per il Pd?”»). O di scegliere la cultura, votando PD, pur avendo tra le proprie fila l'anticristo culturale moderno per eccellenza, il/la ministr* Valeria Fedeli. Il Partito Democratico, anche nella comunicazione web, opta per una botta al cerchio e una alla botte, esponendo sempre sinteticamente “le cose fatte e quelle da fare quando sarà al governo del Paese” e l'attacco all'avversario. Così sui social del Partito, così su quelli di LoRenzi il Magnifico. «Non partecipiamo alla competizione a chi la spara più grossa. La nostra promessa è una: non fare promesse», come di recente ha affermato Matteo Renzi, in un turbinio demagogico vecchio come le bomboniere nella cristalliera della zia tirchia, indicando la propria coerenza e quella del PD. Sarebbe bello se non fosse stato detto da uno che avrebbe dovuto abbandonare la politica, a sentirlo, almeno un paio di volte. Vota l'Universo, vota Partito Democritico.