I candidati alla segreteria Pd fanno a chi la spara più grossa
Cambiare l'Italia ispirandosi a Cuba, sconfiggere la povertà, vivere di rendita: Renzi, Emiliano e Orfini propongono di tutto. Senza pudore
Sembrano i tre tenori: cantano insieme, ma anche ognuno per conto proprio. Sono i tre candidati alla segreteria del Pd: Matteo Renzi, Michele Emiliano e Andrea Orlando. Da quando si sono aperti la strada verso la suprema poltrona del partito pluriamputato, hanno iniziato la loro personale campagna elettorale. In pratica fanno a chi la spara più grossa, prospettando in quattro e quattr'otto la soluzione di piaghe che lacerano l'Italia da mezzo secolo e più. Immaginando rosei traguardi tra ottimismo e follia. L'ex premier, segretario dimissionario Renzi, dopo l'uppercut del quattro dicembre, non si è ritirato dalla politica, anzi, si è rialzato e ha iniziato a profetizzare un futuro glorioso. «La partita inizia adesso», ha detto al Lingotto. E ancora: «Volevano dividerci, ma il partito non si rompe». Però il partito si è già rotto: si è scisso, se ne sono andati D'Alema e Bersani. Ma Renzi insiste: «Al Lingotto è tornata la politica», scrive nella sua Enews. «E soprattutto un clima bello, di passione civile, ricco di desideri positivi per il futuro dell'Italia e dell'Europa». Una visione rassicurante, ma forse un po' troppo ottimistica, visto che il suo compagno di partito, Michele Emiliano, lo attacca così: «Il nulla lucente del renzismo ha alternative all'interno del Pd», e «al momento l'unica alternativa al renzismo è la mia mozione. Orlando ora ha un pentimento tardivo dopo aver condiviso tutto del governo Renzi», ha detto Emiliano, il quale, però, ne ha sparate anche lui. Il governatore della Puglia, una manciata di giorni fa, ha detto di essere a favore di una totale eliminazione degli stipendi dei politici, come previsto dalla Costituzione di Cuba. Ha aggiunto che gli stipendi «devono essere sostituiti da una indennità che ripaghi della eventuale rinuncia stipendiale che si fa quando un politico è costretto a fare il politico a tempo pieno». La democratica Italia dovrebbe ispirarsi alla costituzione di una dittatura comunista? Nanni Moretti direbbe: «Continuiamo così, facciamoci del male». Il terzo tenore non è da meno: il ministro della Giustizia e candidato alle primarie del Pd, Orlando, al teatro Eliseo di Roma, ha messo subito le cose in chiaro: «Noi dobbiamo guardarci intorno e, sulla base di un patto politico programmatico, proporre un'alleanza larga: questo non è il momento di mettere paletti, ma di costruire ponti», precisando: «Inseguire la vecchia destra ci ha portato alla sconfitta, inseguire questa nuova destra ci porterebbe al dramma». Insomma niente alleanze con il centrodestra, afferma il ministro del governo sostenuto dal Nuovo centrodestra. E a «L'aria che tira» su La7, butta lì una cosina facile facile: «Serve un piano che in tre anni debelli la povertà», con «un reddito di connessione, che non c'entra nulla con il reddito di cittadinanza, per la popolazione che vive sotto la soglia». E ancora: «Abbiamo calcolato che una famiglia di tre persone dovrebbe avere un sostegno di almeno 800 euro. Le coperture ci sono, ma dobbiamo fare in modo che in Italia non ci siano più persone in uno stato di stabile sofferenza». Sconfiggere la povertà in tre anni? L'Umanità non c'è riuscita in tutta la sua storia, ma forse Orlando... E poi le liti, le puntualizzazioni, le polemiche su argomenti lontanissimi dal sentire comune, come quella incomprensibile tra Renzi ed Emiliano sulla Xylella fastidiosa, un parassita dell'ulivo. C'è poi la precisazione di Orlando: «Anche Renzi è di sinistra», ma «una sinistra diversa dalla mia, anche se nessuno ha il monopolio della sinistra». Infatti la sinistra al momento è un insieme di califfati, dove tutti tentano di tagliare la testa a tutti.