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Renzi-Bersani, tre giorni per non dirsi addio

Carlantonio Solimene
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La notte non ha portato consiglio. Il giorno dopo l'anatema di Pier Luigi Bersani (“la scissione tra la nostra gente c'è già stata, non so se andremo all'assemblea di domenica”) le posizioni dei renziani e della minoranza Dem non si sono ancora riavvicinate. Anzi, la riunione tenutasi fino a tarda notte tra Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Dario Franceschini è servita soprattutto a stringere i bulloni dell'alleanza che dovrebbe portare il Pd al più presto a congresso e Matteo Renzi nuovamente al vertice del Nazareno. L'obiettivo di renziani e franceschiniani è garantire la presenza di più delegati possibile all'assise di domenica in modo da mettere al sicuro il numero legale ed evitare la formazione di maggioranze alternative che possano magari eleggere un nuovo segretario “di garanzia” col compito di traghettare il partito al congresso a scadenza naturale. Ma domenica potrebbe essere già troppo tardi per salvare l'unità del Pd. L'intenzione della minoranza, infatti, sarebbe quella di rompere addirittura prima dell'assemblea per evitare fin dall'inizio di essere coinvolta nella dinamica congressuale. In assenza di fatti nuovi, Bersani e i suoi (oltre a Massimo D'Alema e Roberto Speranza sono con l'ex segretario anche Gianni Cuperlo, Michele Emiliano ed Enrico Rossi) potrebbero annunciare l'addio al partito già sabato, all'evento organizzato proprio da Enrico Rossi al Teatro Vittoria del Testaccio, a Roma. La motivazione è chiara: se la rottura dovesse avvenire a congresso perso (e con l'alleanza Renzi-Franceschini il risultato sembra blindato) i bersaniani verrebbero accusati di non aver saputo accettare il verdetto democratico degli iscritti. Meglio, quindi, andarsene prima. Con l'unica controindicazione di dover spiegare ai militanti le ragioni di una rottura basata esclusivamente su ragioni di calendario o su altre motivazioni criptiche, come quella secondo la quale “non si può andare a congresso senza conoscere la legge elettorale”. Anche per questo i renziani sarebbero decisi a sgombrare il tavolo pure dall'ultimo alibi rimasto, accettando di spostare di qualche settimana la celebrazione della fase finale del congresso, da aprile a maggio. In questo modo, oltre a scongiurare definitivamente il ricorso alle elezioni a giugno (ipotesi già oggi considerata ormai molto improbabile), si permetterebbe ai vari candidati alla segreteria di radicarsi maggiormente nei circoli e di far conoscere meglio la propria proposta politica. L'impressione dei renziani, tuttavia, è che anche questa concessione non basterà, “perché ormai Bersani e i suoi hanno già deciso di andarsene”. Intanto si moltiplicano gli appelli all'unità del partito. L'ultimo in ordine di tempo è stato quello di Walter Veltroni, primo segretario del Partito Democratico, che dalle colonne del Corriere della Sera ha definito “un incubo” la scissione e ha invitato tutte le parti a fermarsi nella folle corsa alla distruzione e cercare una mediazione. Una tregua che, però, al momento appare lontanissima dalla realtà.

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