Scontro in direzione Pd, Renzi incassa l'ok: congresso ed elezioni
Assemblea e congresso subito. Dimissioni, verosimilmente, nel fine settimana. Matteo Renzi incassa il voto, a maggioranza, della direzione del Partito democratico. Il primo vero confronto tra le varie anime dl partito dopo la sconfitta del referendum è stato un redde rationem in piena regola, con la conclusione dello scontro al momento del voto sulle mozioni. Perché la minoranza del partito ne presenta una in cui viene esplicitamente chiesto il sostegno al governo Gentiloni fino al 2018. Un punto pericoloso, fa notare Piero Fassino, perché "questa assemblea si prepara a votare la fiducia al governo Gentiloni". Quindi, si vota solo la mozione di sostegno alla relazione del segretario. Un modo, per la minoranza, di "rileggittimare una leadership mettendo a rischio la tenuta del Paese", sottolinea Roberto Speranza. Lo scontro si compie sotto gli occhi del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, invitati a partecipare. Un avviso di sfratto? Il ministro Orlando spera di no: "Mi hanno assicurato che non sarà così, spero abbiano ragione, ma non ne sono del tutto convinto", dice in serata lasciando la direzione, da astenuto sul voto finale. "Si chiude un ciclo alla guida del Pd". La mossa di Matteo Renzi era attesa. Dimissioni per andare a congresso il prima possibile. Poi, una volta in sella al partito, andare al voto. Il segretario non cita direttamente le dimissioni che, con ogni probabilità, consegnerà all'Assemblea nel fine settimana, e dice chiaramente che il tema del congresso e le elezioni "non sono collegati". Parole che non convincono Pierluigi Bersani. L'ex segretario sale sul palco del centro congressi di via Alibert, a pochi passi dal Nazareno, e chiede con forza, quasi gridando: "Occorre garantire la conclusione naturale della legislatura. Lasciare l'interrogativo e la spada di Damocle sul nostro governo, magari con le dimissioni in streaming, non possiamo". Una richiesta rimasta inascoltata perché la direzione non vota il documento dei bersaniani. Uno scontro tra fazioni che si arricchisce di un nuovo protagonista: il ministro Orlando sale sul palco e, dopo essersi rivolto a Bersani per chiedere di smetterla di delegittimare il segretario ad ogni occasione, guarda al tavolo della presidenza dove siede Matteo Renzi: sono tornati i caminetti? Sì, risponde il ministro, "perché manca una proposta politica forte". E ancora: "Non sono tra quelli che hanno chiesto il congresso, ma penso che il rischio che abbiamo di fronte è che il Pd diventi l'epicentro dell'instabilità del sistema politico". La strada da percorrere, dunque, è quella che passa per una conferenza programmatica da tenere prima del congresso. Il "no" di Renzi arriva durante la replica del segretario: "Sei indietro di quattro puntate", dice. Il segretario, in premessa, aveva chiesto al partito di darsi "una regolata" evitando di parlare di resa dei conti. E, nonostante questo, resa dei conti è stata, con Renzi che alterna toni ecumenici con altri più taglienti. E anche sul tema della eventuale scissione del partito, dopo avere espresso il desiderio che tutti si sentano a casa nel Pd, ha sottolineato: "Per me la scissione è un momento traumatico, drammatico, che mette in subbuglio sentimenti, i cuori. Non ho mai immaginato che si potesse arrivare ad una scissione". E tuttavia, se "si dice o fai il congresso prima delle elezioni o me ne vado, mi sembra un ricatto morale e sono difficilmente incline a cedere ai ricatti, ma credo che sia buon senso di chi ha la responsabilità accettare il congresso prima delle elezioni".