Napolitano molla Renzi: "Voto nel 2018"
"Nei paesi civili alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno". L'ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano si "sostituisce" al suo silente successore Sergio Mattarella e bastona l'ex premier Matteo Renzi, che con l'accordo di Lega, Fratelli d'Italia e Cinquestelle ha incardinato alla Camera la riforma della legge elettorale accelerando verso le urne. "In Italia - continua Napolitano conversando con alcuni cronisti al Senato - c'è stato un abuso del ricorso alle elezioni anticipate. Bisognerebbe andare a votare o alla scadenza naturale della legislatura o quando mancano le condizioni per continuare ad andare avanti. Per togliere le fiducia ad un governo deve accadere qualcosa. Non si fa certo per il calcolo tattico di qualcuno...". Un'uscita, quella di "Re Giorgio", che se fa notare a qualcuno delle opposizioni, come Elvira Savino di Forza Italia, che Renzi ormai ha perso l'appoggio persino di uno dei suoi più fedeli alleati, fa insorgere al contrario i rappresentanti di quelle neonata "maggioranza" che si sta battendo per il voto subito. "Napolitano ci dica in quale Paese civile ci sono quattro premier consecutivi non votati dal popolo ma scelti dal palazzo" si sfoga il senatore leghista Roberto Calderoli. Mentre il suo segretario Matteo Salvini, riferendosi all'ex Capo dello Stato, arriva a dire che "nei Paesi civili chi tradisce il popolo viene processato". Anche Matteo Renzi sembrerebbe non volersi far condizionare dall'uscita di Napolitano e al momento tira dritto verso un'intesa con grillini, leghisti e meloniani che prevede l'estensione dell'Italicum "depurato" dalla Consulta anche al Senato. Quindi con premio di maggioranza alla lista che dovesse raggiungere il 40% dei voti, senza ballottaggio e con capilista bloccati. Una china sulla quale, però, non lo seguirà la minoranza Dem che ha già fatto sapere di essere contraria a questa ipotesi. Il passaggio parlamentare, insomma, potrebbe rivelarsi più insidioso del previsto per l'ex premier che punta al voto a giugno. Sempre che sulla nuova legge elettorale non venga posta una questione di fiducia "tecnica". A quel punto votare contro significherebbe far cadere il governo. E andare a votare lo stesso. Una mossa da pokerista, come quelle a cui Renzi ha abituato nell'ultimo periodo. Con scarso successo, però.