Prodi ha ragione, i giovani sono ignoranti ma la colpa è anche sua
Stavolta, a Romano Prodi tocca dare ragione. L'altro giorno, il Professore era a presentare il libro "La Repubblica degli Italiani" di Agostino Giovagnoli, alla sede della Società Dante Alighieri a Roma. Ad un certo punto, ha raccontato che quando fa zapping, incappa in "questi della Ghigliottina", il quiz, a cui viene chiesto: "chi è stato il presidente della Repubblica? Ciampi… Maradona… Dicono tutti Maradona". Ed ha proseguito osservando che "sulla recente storia italiana è assolutamente incredibile il livello di ignoranza". Nulla di lontano dalla realtà. E poco senso ha Salvini quando lo invita ad esiliarsi su un'isola deserta. Avrebbe potuto, senza rinunciare alla sua vis polemica, sollevare qualche questione seria sulla qualità umanistica della nostra scuola, cosa che sarebbe buona e giusta per un leader identitario. Comunque, la fotografia della realtà scattata da Prodi è nitida. Il tono, quello sì, è sbagliato. Prodi, nel filmato che gira in rete, ne parla come se stesse raccontando una barzelletta, irride, gesticola, modula il tono per invocare la risata altrui. Ma non c'è da fare il Gino Bramieri. Questo è un dramma. È il dramma di una generazione tanto, troppo indietro come testimoniano le statistiche Ocse di questi anni sulle competenze di base dei nostri ragazzi. Ed è il dramma dell'allaccio scuola-società che sta chiudendo a tenaglia gli ingegni, i talenti, e convoglia altrove quella regola quasi naturale, vagamente aristotelica, che vorrebbe l'uomo obbligato a dare il meglio di sé. Oggi il divismo sfrenato ha commutato le licenze poetiche in licenze da celebrità, e attorno a loro si omologa il popolo uditore e telespettatore. Dalle interviste post gara dei calciatori anni '90, su cui Mai Dire Gol fece montagne di pillole, fino al Luigi Di Maio odierno che non azzecca i congiuntivi e teletrasporta Pinochet dal Cile al Venezuela. Passando per la logica grande Fratello, la celebrità derivante dall'estetica e nulla più. La fama "pop" fornisce l'immunità ad ogni errore, svarione, lacuna, che anzi diventano, essendo facili da ripetere, un esempio. Tutt'intorno, la scuola dove scorre a litri il virus post sessantottino del 18 politico, il mantra laico dell'uguaglianza come punto d'arrivo. Oggi l'ultimo gioco delle tre carte dell'italico buonismo è far credere che quello raro non sia il talento, ma l'asino. Così qualche settimana fa, si è sfiorato il divieto di bocciare alle elementari (invocato nientemeno che dal ministro della Giustizia Orlando), assicurando però bocciature solo in casi assolutamente necessari e che comunque dovranno essere ben motivati dagli insegnanti. All'esame di maturità, invece, si potrà accedere con la media del sei. È la scuola Mulino Bianco. La scuola trallalà simbolo di un Paese trallallà che abdica a se stesso, e rinuncia a fornire ai ragazzi gli strumenti per essere liberi - e lo si è soltanto maturando senso critico innanzi alla società, di cui la conoscenza della storia è requisito fondamentale - regalando a palate nutrimento per i propri desideri. Quello di farcela gratis è comune ed istintivo. Negli anni, così, abbiamo via via perduto lo studio mnemonico, le lingue antiche sono indicate con disprezzo come "lingue morte" (ma vengono resuscitate altrove, basti considerare l'impegno dell'attuale ministro degli esteri inglese, Boris Johnson, quando era sindaco di Londra, per potenziare lo studio del latino nelle scuole cittadine), la competizione è una bestemmia. Addirittura, per il già martoriato liceo classico, si parla più o meno da un anno di rendere più attraente la versione abbellendola di qualche domandina circostante per indagare se uno ha capito il testo e lo sa collocare nel contesto storico. Far apparire più sexy un ostico passaggio di Platone o Sallustio, insomma. Così, magari, se uno sbaglia clamorosamente la traduzione ma “sa collocarla nel contesto" prenderà comunque la sufficienza. È il Paese dei bravi per forza, dove il gatto si è mangiato la coda. I docenti usciti dal cazzeggiamento accademico degli anni '70 hanno spogliato il loro ruolo, per ideologia, della sua autorità ed ora la situazione è sfuggita di mano: se qualcuno, pur raramente, prova a riappropriarsi di quel ruolo, arriva il padre incazzato che fa il sindacalista del figlio, o se non basta la perizia dello psicologo. La politica, in tutti questi anni, è stata sempre alla finestra, propinando riforme erroneamente chiamate della scuola, perché in realtà erano del lavoro scolastico, pensate più sui tavoli sindacali che all'ombra del Colosseo, o sotto la Torre di Pisa, o nei vicoli di Napoli, nelle Basiliche e biblioteche, cioè nei luoghi dove pulsa e vive l'anima umanistica del nostro Paese. Prodi ha ragione, ma anche un po' colpa per il ruolo avuto in passato. E un Maradona che ci salvi, a questo punto, serve come il pane.