IL FUTURO DELL'ITALIA
Vitalizi e voto anticipato Così il Parlamento può "rubare" il tesoro di deputati e senatori
Un tesoretto da quasi 20milioni di euro. Sono i soldi che finirebbero a sorpresa nelle casse del Parlamento nel caso le Camere venissero sciolte prima del 15 settembre 2017. Fondi accantonati dai parlamentari al primo mandato, che potrebbero ritrovarsi presto senza poltrona e senza contributi versati. Andiamo con ordine. Gli ex parlamentari ottengono la pensione a 65 anni dopo aver ricoperto un mandato di almeno 4 anni 6 mesi e un giorno (per ogni anno di mandato ulteriore dopo i cinque previsti, l’età richiesta scende di un anno, con il limite a 60 anni). Ogni mese deputati e senatori versano un contributo pari all’8,80 per cento dell’indennità parlamentare lorda, più o meno 750 euro. Soldi che vengono messi dal Parlamento in un fondo, in cui ovviamente confluiscono anche i contributi pagati da Camera e Senato (circa 1.400 euro al mese per ogni rappresentante). Ma se l’onorevole non dovesse arrivare ai fatidici 54 mesi e un giorno di mandato non avrebbe diritto a prendere un euro. Del resto funziona così anche per tutti gli altri lavoratori che, però, devono avere un minimo di 20 anni di contributi. Le norme sono chiare. L’articolo 2 del regolamento per il trattamento previdenziale dei deputati, al comma 5, prevede che «per i contributi versati a decorrere dal 1° gennaio 2012 non è ammessa la restituzione». Dunque o i parlamentari al primo mandato saranno ancora in carica il 15 settembre del prossimo anno, oppure perderanno il diritto alla pensione da onorevoli e tutti i contributi versati. Facciamo i conti. I deputati e i senatori eletti nel 2013 per la prima volta sono 591 (su 945): 399 deputati e 192 senatori. Dunque una larga maggioranza, che coinvolge tutte le forze politiche, anche se la parte del leone la fanno il Pd e il M5S. Nei giorni scorsi molti ne hanno contati 608, aggiungendo probabilmente ai 591 anche quelli che già avevano alcuni mesi di mandato nelle passate legislature e che quindi matureranno il diritto al vitalizio qualche mese prima del prossimo settembre. Ognuno dei 591 parlamentari ha versato 33.750 euro (750 euro al mese trattenuti dallo stipendio per 45 mesi di mandato, fino ad oggi). Dunque il fondo ha raccolto in tutto 19.946.250 euro. Un tesoro a disposizione della Camera e del Senato se le consultazioni del presidente della Repubblica Mattarella dovessero avvicinare il voto e, dunque, interrompere la legislatura. O anche se il nuovo governo dovesse esaurire il suo compito rapidamente e, come hanno chiesto alcune forze politiche, ci fossero elezioni subito prima dell’estate. Molti parlamentari sono in fibrillazione anche perché tra i 591 che rischiano di perdere i contributi versati ce ne sono parecchi che non verranno ricandidati. Dunque perderebbero l’occasione di avere una pensione da ex parlamentare. Non ricca come un tempo, in cui per un mandato si conquistavano tremila euro al mese, ma pur sempre una somma dignitosa (mille euro al mese). Alcuni deputati e senatori stanno ipotizzando, nel caso, di fare ricorso per chiedere la restituzione dei contributi ma sembra che i margini siano piuttosto ristretti. Attacca Riccardo Fraccaro (M5S), membro dell’ufficio di presidenza di Montecitorio. È stato tra quelli che, negli ulti- mi anni, hanno presentato in Aula i provvedimenti (tutti bocciati) per abolire vitalizi, auto blu e rimborsi vari. Ora tuona: «Chiediamo di restituire la parola ai cittadini subito dopo che la Consulta si sarà pronunciata sull’Italicum, quando si avrà una legge elettorale corretta con il recepimento delle indicazioni della Corte. È inaccettabile che i partiti vogliano continuare a tergiversare, avallando l’ennesimo esecutivo non eletto solo per maturare il vitalizio e non perdere i contributi versati. Tanto più che si tratta degli stessi politici che hanno calpestato i diritti degli italiani e godono già di innumerevoli privilegi». Per i parlamentari che temono di restare senza pensione e senza contributi versati ci sarebbe anche la beffa. Cioè che quei 20 milioni di euro che la Camera e il Senato si ritroverebbero in cassa rimarrebbero nello stesso capitolo di bilancio, quello sul trattamento pre- videnziale. Andrebbero dunque a finanziare i vitalizi che il Parlamento continuerà a pagare ancora per molti anni ai 2.600 ex deputati ed ex senatori che hanno maturato l’assegno prima del 2012 (anno in cui c’è stato il passaggio tra il sistema retributivo e quello contributivo). Ma niente paura. Per i parlamentari sull’orlo di una crisi di nervi (e di governo) ci sarà comunque una consolazione: la buonuscita. Ognuno, infatti, mette da parte mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria indennità lorda, pari a 784,14 euro. Al termine del mandato parlamentare ogni onorevole riceve l’assegno di fine mandato, che è pari all’80 per cento dell’importo mensile lordo dell’indennità per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore a sei mesi). In tutto 30 mila euro. Certo se la legislatura dovesse proseguire ancora pure la buonuscita sarebbe più pesante. Allora perché non tentare di conquistare il massimo rimanendo in carica fino al termine naturale della legislatura, cioè nel 2018? Ci stanno pensando parecchi parlamentari. Diranno che servirà per dare più stabilità al Paese.