VERSO IL REFERENDUM

Il grande bluff dei risparmi della riforma costituzionale

Pietro De Leo

Il numero magico del referendum costituzionale non è solo il 4, giorno di dicembre in cui si svolgerà la consultazione. Ma è anche il 500. Cioè la cifra astronomica di risparmi annuali che deriverebbe dal nuovo assetto istituzionale, sbandierata da Renzi in ogni dove, e intorno alla quale il premier ha fatto la promessa delle promesse, l’istituzione di un fondo per la povertà. Uno slancio francescano, insomma. Ma è davvero così? Stando ad altre rilevazioni, pare proprio di no. Il numero più impietoso lo fornisce una relazione della Ragioneria dello Stato risalente al 2014, che è stata sguainata come arma di reazione dal fronte del No. Secondo il testo, il risparmio sarebbe di appena 57,7 milioni di euro, quasi il 90% in meno. A questo, poi, si aggiunge uno studio di Roberto Perotti (già commissario governativo alla spending review che, al pari del predecessore Carlo Cottarelli ad un certo punto ha fatto le valigie), pubblicato su www.lavoce.info. Perotti si colloca tra i due estremi, prevedendo un risparmio di 140 milioni di euro a due anni dall’entrata in vigore, 160 milioni a regime. Tuttavia, nel suo paper, Perotti precisa di aver preferito un’interpretazione più «favorevole» del dettato della riforma. Altrimenti, stando a una lettura restrittiva, il risparmio sarebbe di 110 milioni di euro dopo i due anni e 130 milioni a regime. SENATO È il punto forse più dibattuto della riforma. Sarà formato da 100 componenti (21 sindaci, 74 consiglieri regionali, 5 senatori a vita). Il ministro Boschi, rispondendo ad un’interrogazione, aveva quantificato a 80 milioni all’anno l’ammontare ottenuto dal taglio delle indennità parlamentari e dei rimborsi dei senatori, e altri 70 dal taglio delle commissioni di inchiesta e dei rimborsi ai gruppi consiliari. Dunque 150 milioni. Cifra subito contestata dal Senatore di Forza Italia Lucio Malan, il quale in un calcolo dettagliatamente diffuso sul web quantificava a circa 47 milioni totali i risparmi su Palazzo Madama. Poco sotto il dato fornito dalla ragioneria dello Stato, che ha calcolato 49 milioni, circa il 9% della cifra messa a preventivo nell’assetto attuale (540 milioni per il 2016). Perotti, su questo tema si avvicina alla Boschi, pur tenendosi ben sotto la soglia. Secondo i suoi calcoli, infatti, il risparmio potrebbe essere 107 milioni a due anni dall’entrata della riforma e 131 milioni a regime («diciamo al 2030»). Ma c’è una variabile imprevedibile, per far sì che i risparmi calcolati siano realtà: «si deve attuare - spiega - una riduzione della spesa per il personale del 30%, cifra non facile da raggiungere». PROVINCE Altro cavallo di battaglia del governo. Dal loro superamento, il ministro Boschi preventivò un risparmio di 320 milioni, che diventarono 350 milioni per Renzi. Secondo Perotti, l’includere la revisione della spesa per le province nell’ambito della riforma costituzionale non è un approccio corretto. Infatti, «gran parte delle funzioni delle province sono già state riallocate a Comuni, città metropolitane e regioni» con la legge Delrio. Dunque i risparmi sarebbero indipendenti dall’esito del 4 dicembre. Anzi, addirittura, per alcuni la riforma costituzionale ha elevato a dignità costituzionale la nozione di «area vasta». Perciò «non è escluso che le attuali province si trasformino semplicemente in aree vaste, con una nuova duplicazione di costi». Per mettere sul tavolo qualche cifra, tuttavia, si può ricorrere a qualche studio datato nel tempo.  Per la Corte dei Conti, in uno studio del 2013, si può pensare a una forbice tra i 100 e i 150 milioni di euro. La nota della Ragioneria, invece, definiva «non quantificabili» i risparmi per questa voce. L’unica certezza è che i 350 milioni non si vedono neanche con il binocolo. CONSIGLIERI REGIONALI Qui sono due le voci interessate. La prima è quella dei rimborsi ai gruppi. La seconda degli stipendi percepiti dai consiglieri che, secondo la riforma, dovrebbero essere portati al livello di quanto riceve un sindaco capoluogo di Regione. Secondo Renzi, entrambe segnerebbero un risparmio di 36 milioni di euro ciascuna. Tutto chiaro? Ovviamente no. Nel primo caso, Openpolis (il portale che si occupa di trasparenza della pubblica amministrazione) calcola che i rimborsi ai gruppi regionali si aggirano sui 30 milioni l’anno, e dunque la cifra non ha una differenza abissale con quella di Renzi. Il professor Perotti, però, non crede all’abolizione dei contributi ai gruppi: «è ben difficile pensare che non vengano sostituiti da qualche voce alternativa». E quantifica il risparmio a 10 milioni. Che sale a 17 nel caso dei compensi dei consiglieri. Va poi sottolineato, a monte di tutto, che la riforma non si applica alle Regioni a statuto speciale. CNEL Altro cavallo di battaglia mediatico del premier, simbolo della lotta alla Casta e ai cimiteri degli elefanti. Sempre il ministro Boschi ha quantificato a 20 milioni il risparmio dalla sua abolizione. In realtà, però, l’ente ha già conosciuto un depotenziamento a partire dal 2015, dove sono stati chiusi i rubinetti di consulenze, studi da commissionari, incarichi. Tanto che la spesa è scesa a circa 9 milioni di euro annuali. Ben difficile, quindi, risparmiarne 20. La Ragioneria Generale dello Stato, dunque, nella sua nota prevedeva a 8,7 milioni il risparmio. Tuttavia, va considerato che il personale verrà assorbito da Corte dei Conti e Csm e quindi, bisogna abbassare ancora le aspettative per considerare il beneficio effettivo per pubbliche casse. A 3 milioni secondo Perotti. A 2.268.000 secondo Lucio Malan. Tutte le cifre, quindi, appaiono ben lontane dall’astronomica propaganda del governo. E allora tornano in mente le parole di Renzi da Palermo, qualche settimana fa: «Alla fine, il conto è 500 milioni. Dicono che sono solo 58 milioni secondo un parere della Ragioneria del 2014. Ma anche se fosse... è un contenimento dei costi o no?». Già, d’altronde, ormai, la dimensione della realtà è solo un dettaglio.