Berlusconi ricomincia da tre. Salvini: io leader
Meno di due mesi dopo sono tornati a vergare una nota congiunta sullo stesso argomento. Segno che il «no» al referendum sulla riforma costituzionale al quale Matteo Renzi ha legato il suo destino politico rappresenta plasticamente il nodo centrale per ogni ipotesi di riunione del centrodestra tra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Ieri, dopo il rientro del Cavaliere dagli States, i tanti rinvii del vertice e una tensione evidente accumulata per questo tra il leader di Forza Italia e i due «quarantenni», che da parte loro hanno più volte chiesto parole chiare sul quesito referendario all'ex premier, è arrivato a sorpresa l'incontro a tre. Il risultato? Il sigillo sul «no» perché «la prova referendaria ha anche un indubbio valore politico – recita la nota a sei mani -, poiché attraverso di essa il presidente del Consiglio, il terzo premier consecutivo non eletto dagli italiani, cerca una legittimazione che non merita, visti i fallimenti del suo governo in ogni settore, dall'economia all'occupazione, dalla politica internazionale alla sicurezza dei cittadini, al contrasto all'immigrazione clandestina». A palazzo Grazioli, dunque, si è messo nero su bianco il «no» di tutto il centrodestra «a un progetto di riforma che non risolverebbe nessuno dei problemi del Paese, né in termini di efficienza né di contenimento dei costi, mentre produrrebbe un preoccupante deficit di democrazia limitando la possibilità di espressione di voto degli italiani». Parole, queste, che ricalcano grossomodo l'intervista di martedì al Tg5 con cui lo stesso Berlusconi è tornato pubblicamente a parlare dopo il lungo stop. Non solo. Il caminetto dei tre ha partorito, nella volontà di differenziare il «no» del centrodestra dalla compagnia dei vari Zagrebelsky e Grillo, una controproposta a vocazione presidenzialista. Ossia l'avvio, dopo la vittoria del 4 dicembre, di «una nuova fase costituente per una riforma che realizzi alcuni obiettivi fondamentali: elezione diretta del Capo dello Stato, un vero federalismo, il dimezzamento del numero dei parlamentari e del loro costo». Insomma, sulla carta – dopo i dubbi che hanno sollevato, tra i giovani alleati, gli appelli pro «sì» del «partito azienda» in Forza Italia e la posizione giudicata troppo morbida sul governo di Stefano Parisi – Berlusconi ha firmato l'impegno che dovrebbe garantire una campagna nel segno della ritrovata unione contro la riforma e l'avvio di un percorso di ricomposizione in vista delle elezioni del 2018 (o di un probabile anticipo). Tutto risolto dunque? Per nulla. Perché prima di varcare la porta della residenza romana del leader azzurro Salvini ha già indicato quale sarà a suo avviso il prossimo tema: quello della leadership. «I sondaggi in questo momento dicono che la Lega è il primo movimento di centrodestra – ha spiegato a Rtl102.5 -. Quindi, se si votasse domani mattina, secondo il parere degli italiani, che sono gli unici che possono decidere in questo momento, il segretario della Lega sarebbe il candidato leader del centrodestra». Parole che non sono piaciute al fondatore della Lega Umberto Bossi: «Bisogna pensare alle alleanze e non alle cose troppo personali...», ha commentato riferendosi all'altro Matteo. Questo, da parte sua, tira dritto. Passi ancora il rito dei «vertici», allora, ma per il segretario della Lega è chiaro che «ora gli italiani stanno dicendo che la coalizione la guida la Lega, e quindi mi auguro che anche Berlusconi ne prenda atto». Tradotto significa che dopo un'eventuale vittoria del «no» la linea della coalizione non potrà essere quella ventilata dal Cavaliere, ossia un percorso di unità per una «riforma condivisa», ma quelle elezioni anticipate che sono il mantra del Carroccio. Infine un sms rivolto al contraltare di coalizione indicato proprio da Berlusconi, ossia Stefano Parisi: per Salvini «è un buon consigliere comunale a Milano, punto».