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"Città metropolitana" di Roma, oggi si vota per la Provincia. Che non c'è

Palazzo Valentini

Daniele Di Mario
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Vanno in scena oggi le elezioni farsa per la Città Metropolitana di Roma. Dalle 8 alle 23 seggi aperti a Palazzo Valentini dove si eleggono, per la seconda volta dall'approvazione della legge Delrio, 24 consiglieri senza che i cittadini possano esprimere alcuna preferenza. A votare saranno infatti tutti i consiglieri di Roma Capitale e degli altri 120 Comuni dell'hinterland e ad essere eletti saranno 24 loro colleghi. Se la cantano e se la suonano, insomma, in barba a qualsiasi principio di rappresentatività e di democrazia. Con l'elezione indiretta e la diminuzione del numero dei seggi non si ha alcuna certezza che il territorio sia omogeneamente rappresentato. Tutto è demandato al buon senso delle segreterie politiche, e, in teoria, potrebbe accadere che nel Consiglio metropolitano non sia rappresentata l'area tiburtina o la Valle del Sacco, o i Castelli Romani. Il fatto che votino i consiglieri comunali in carica e non i cittadini, inoltre, crea non pochi problemi di rappresentatività, perché non tutti i Consigli comunali sono stati eletti nello stesso anno. Così il risultato proporzionale delle forze politiche con l'elezione di secondo livello spesso non rispecchia il consenso reale di cui godono, a volte per difetto altre per eccesso. Inoltre, nel momento in cui il Consiglio di un Comune si scoglie per scadenza naturale o fine anticipata della consiliatura, il consigliere metropolitano eletto decade. Una riforma che abolisce democrazia, rappresentanza e governabilità (il M5S non avrà la maggioranza), ma non produce risparmi visto che si aboliscono solo pochi spicci (meno di 1,5 milioni l'anno) di indennità di consiglieri e assessori. I costi per funzione, personale, sedi restano invariati. Ad allontanare ancora di più i cittadini da queste elezioni è poi il voto ponderato che fa sì che una preferenza non sia uguale all'altra, per cui un voto pesa di più o di meno a seconda della popolazione del Comune in cui si è consiglieri. Gli enti locali infatti sono raggruppati in fasce e a seconda della fascia di appartenenza ogni voto ha un coefficiente. Così prevede la legge Delrio e non ci si può fare niente, nonostante il Pd abbia sbandierato l'approvazione dello Statuto della Città Metropolitana che prevederebbe l'elezione diretta del sindaco metropolitano, se solo il Parlamento votasse una legge che lo consenta. E questa legge non è mai stata approvata. Con buona pace del Pd e dei suoi big romani. Così dal 2013 al 2015 il sindaco metropolitano, che coincide col primo cittadino di Roma, è stato Ignazio Marino. Dopo la sua caduta a guidare Palazzo Valentini è stato Mauro Alessandri, Dem di Monterotondo e vice di Marino. Al momento dell'elezione in Campidoglio si è automaticamente insediata Virginia Raggi. Non è un caso che i partiti - tutti - non abbiano presentato uno straccio di programma per queste elezioni. Niente dibattiti, niente tribune elettorali. D'altronde non c'è da convincere neanche un elettore, che viene privato anche del diritto di conoscere priorità e idee dei politici per il loro territorio. I partiti usano così queste elezioni per una conta intera, per regoalre vecchie ruggini. Come Stefano Fassina, consigliere comunale di Roma (che oggi non voterà) di Sinistra Italiana, che non aderisce alla lista unica fatta da Pd e Sel per una diversa concezione dell'idea di centrosinistra. O come il centrodestra che col listone unico misurerà le forze della rinata coalizione dopo lo scisma Marchini-Meloni delle ultime amministrative.

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