
GIUSEPPE SCOPELLITI

La celerità ad personam nel caso del governatore
Quando l'applicazione della legge Severino colpisce esponenti del centrodestra, la storia cambia. Nel marzo del 2014 il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, viene condannato a sei anni di reclusione per abuso e falso commessi quando era sindaco di Reggio Calabria, dunque quando la norma voluto dal ministro di Mario Monti era di là da venire. Passano pochi giorni e l'allora ministro per gli Affari regionali, Maria Carmela Lanzetta, assicura: «Non appena il presidente del Consiglio riceverà la comunicazione dal prefetto di Catanzaro dei contenuti dell'atto giudiziario adottato, il provvedimento di sospensione sarà emanato senza indugio». Celerità ad personam. Il 18 aprile, dopo che la stessa Lanzetta, vogliosa di accelerare la procedura, si era rivolta al sottosegretario Graziano Delrio, il Viminale comunica che «il nulla osta» per la sospensione «è stato firmato». Ma il 29 aprile, senza ricorrere al Tar, senza convocare comizi, senza appellarsi al consenso popolare ricevuto, Scopelliti rassegna le dimissioni anticipando i tempi della sospensione: «È necessario fare un passo indietro - spiega il governatore dimissionario - le sentenze vanno rispettate soprattutto quando si è uomini delle istituzioni. Con una condanna come la mia, sei anni, nel Mezzogiorno sei delegittimato. Voglio che mi riabiliti la magistratura». Pochi giorni prima del voto per le regionali, Alessandro Cattaneo, dell'Ufficio di presidenza di Forza Italia, ricordando quanto sostenuto da De Luca, e cioè che anche secondo Renzi la Severino è superabile, afferma: «Mesi fa per Berlusconi o per Scopelliti tutte queste affermazioni non valevano. È la solita doppia morale del Pd». Impossibile dargli torto.
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