Dal Partito Popolare a Forza Italia Vent’anni di faide legali sui simboli

Il primo colpo della guerra legale per il simbolo di Forza Italia è stato sparato: il senatore campano di Gal, Vincenzo D’Anna, ha agito legalmente contro i poteri di firma del tesoriere unico azzurro Mariarosaria Rossi. Ieri D’Anna attraverso il suo avvocato, Arturo Umberto Meo, ha presentato al Tribunale civile di Roma un ricorso che contesta i «poteri e la legittimità della carica attualmente ricoperta dalla senatrice Rossi». Di conseguenza, la non validità delle deleghe conferite dal tesoriere unico ai coordinatori regionali per la composizione e la presentazione delle liste alle regionali e alle amministrative. «L’intento precipuo del ricorso - ha spiegato D’Anna - è quello di definire una volta per tutte che in Forza Italia non si può fare a meno né degli organismi previsti dallo statuto, né della democrazia decisionale. Non è concepibile, in presenza del finanziamento pubblico, ovvero dei soldi dei contribuenti, che il partito sia considerato come una proprietà privata. Berlusconi - ha aggiunto il senatore - ha tantissimi meriti, che nessuno disconosce, ma non credo che sia consentito ricondurre a lui una gestione da monarca assoluto, un concetto del tutto estraneo a un partito che si richiama al liberalismo e alle libertà». D’Anna chiude con una citazione dall’Anabasi di Senofonte: «Lo storico greco - ha affermato D’Anna - ricorda che la democrazia consente ai pidocchi di divorare i leoni. Una testa, un voto. Questa è l’essenza della democrazia». Viene da chiedersi cosa valga il simbolo di FI epurato dalla figura del Cav. Tempo fa cercò di rispondere a questa domanda Gabriele Maestri, esperto di Diritto dei Partiti, redattore capo di «Termometro Politico». Nel suo libro: «Per un pugno di simboli», 2014, Aracne editrice, Maestri ha fatto la domanda a Cesare Priori, il creativo di Fininvest che ha materialmente disegnato il simbolo: «Forza Italia è Berlusconi, le due cose vanno assieme – ha risposto Priori – Se lui restasse come padre nobile, che guida il partito dall’esterno, il segno avrebbe ancora forza; se il distacco fosse più profondo, il simbolo rischierebbe di non funzionare più». La battaglia comunque è partita e, spiega Maestri, ricorda un po’ quella che, esattamente venti anni fa, scoppiò attorno allo scudo crociato che era stato della Democrazia Cristiana. Correva l’anno 1995, si era, come oggi, alla vigilia delle Regionali, e la contesa all’interno del Partito Popolare italiano vedeva schierati: su un fronte Rocco Buttiglione, favorevole a un patto con Alleanza Nazionale e sull’altro l’ala sinistra (quella di Gerardo Bianco) che voleva imporre al segretario Buttiglione la linea indicata dal Consiglio nazionale: nessun accordo con «forze estreme» che, tradotto dal politichese, voleva dire An. «Quello conteso era l’ultimo simbolo usato dalla Dc, con la parte superiore dello scudo dritta e la scritta Libertas. Però in basso, al posto di Democrazia Cristiana c’era Partito popolare italiano». Tutta la vicenda finì in tribunale, ricorda ancora Maestri, uno specialista che cura anche il sito isimbolidelladiscordia.it. «Buttiglione disse che avrebbe seguito la sua linea, che fu votata e perse per 99 voti a 102. Ma Buttiglione contestò questa votazione, affermando che ad alcune persone era stato impedito di votare. Le due parti litigano, si sconfessano e alla fine si «scomunicano» anche a vicenda. Il tribunale di Roma in un’ordinanza del 23 marzo dirà che, sostanzialmente, ci sono due partiti in uno, perché Buttiglione doveva rispettare la linea politica del Consiglio nazionale, ma aveva il diritto di non dimettersi. E il Consiglio non aveva il diritto di dichiararlo decaduto». Un’ordinanza alla quale seguirono liti, insulti, conti correnti tagliati e anche qualche porta sfondata. Alla fine, con una decisione salomonica, lo scudo crociato non arrivò sulla scheda elettorale: Buttiglione alle Regionali usò l’emblema in coppia con Forza Italia (Polo popolare), mentre il partito di Bianco, Castagnetti e Bodrato usò «Popolari» nello scudo senza croce e il gonfalone. Il gruppo di Buttiglione poi uscì dal Ppi e fondò un nuovo partito, il Cdu, che, come da accordi di Cannes del 24 giugno 1995, mantenne lo scudo crociato.